La Maison de la Radio di Nicolas Philibert arriva in Italia grazie ad una “join” tra Officine UBU e I Wander Pictures, ovvero la distribuzione nuova di zecca legata al Biografilm Festival che si occuperà di distribuire documentari di un certo spessore. Il film di Philibert quindi comincia a circolare anche in Italia dai primi di novembre e domani, domenica 3 novembre, sarà proiettato a Firenze nell’ambito di France Odeon, parte del contenitore più ampio della 50 giorni di Cinema a Firenze, durante una matineè in collaborazione con il Festival dei Popoli, prevista per le 10:30 dove il regista Francese incontrerà il pubblico insieme al presidente di Radio France Jean-Luc Hees, il direttore di Radio Rai Bruno Socillo, il conduttore radiofonico Giorgio Zanchini e il direttore del Festival dei Popoli Alberto Lastrucci. Officine Ubu in quasi contemporanea a Bologna presenterà il film presso il cinema Lumiere di Bologna, mentre il 4 novembre sarà possibile vedere La Maison de la Radio anche per gli spettatori Milanesi presso il MIC (Museo Interattivo del Cinema). Occasione da non perdere quella Fiorentina per la presenza stessa di Philibert e per sentire dalla sua voce il racconto di un’esperienza cinematografica tra documento e vita davvero unica.
Dopo Nénette (recensito qui su indie-eye) e dopo un corto, Nicolas Philibert quindi torna con un nuovo progetto parigino, anche se diffuso on the air in tutto il mondo. La casa della radio è infatti l’enorme edificio circolare sito al 116 dell’Avenue du Président Kennedy, nel sedicesimo arrondissement, sede di Radio France, il servizio pubblico radiofonico francese.
Philibert si è aggirato per mesi nelle sale di registrazione, negli uffici e nei corridoi di Radio France, fotografando in particolar modo i primi mesi del 2011 dominati dall’eco della rivoluzione araba e dallo tsunami di Fukushima. Il periodo in cui un altro eco, Umberto, stava promuovendo Il cimitero di Praga anche nel Paese dove lo oui suona (e nel documentario appare ben due volte). Il Giappone, co-produttore del documentario, si ritaglia una parentesi bellissima e perfettamente suturata grazie a un intervistato che descrive il concetto di gaman, vale a dire il business as usual nipponico, la risposta posata e dignitosa anche agli eventi più traumatici.
Chi conosce l’opera di Philibert ricorderà Il Paese dei sordi (1992) o Essere e avere (2000), piccoli gioielli innervati di pudore e immersi nel silenzio. La maison de la radio sembra collocarsi in perfetta antinomia con questi capolavori silenti, in quanto indaga un mondo dove tutto è suono, voce, frequenza. Dove le parole vanno calibrate con precisione certosina e il minimo rumore di fondo blocca il lavoro di centinaia di persone, richiedendo un encore – sempre che non si sia in diretta. A ben vedere, tuttavia, questo ennesimo chief d’oeuvre firmato Philibert fa perfettamente pendant con la sua produzione regressa, poiché mostra senza spiegare – mai un momento didascalico, mai una caduta di ritmo, un accostamento stonato – e immagini e audio si fondono in una narrazione avvolgente ed elegiaca, oltre che densa di informazioni. Il genio di Philibert consiste proprio nello sposare un sincero afflato da servizio pubblico a un’idea di cinema fresca come l’acqua, estranea a voci off e “spieghe” di sorta.
È il mondo che ci parla, mediante i film di Philibert. In questo caso, la più importante radio francese nelle persone di chi ci lavora, di chi ci vorrebbe lavorare – il film decolla proprio con uno stagista – dei tanti ospiti e degli ascoltatori che chiamano, magari solo per ascoltare una canzone di Johnny Halliday prima di andare a dormire. Empatico, simpatico (alcuni stacchi di montaggio sono esilaranti), curiosissimo e sempre fedele all’oggetto dell’osservazione, con La maison de la radio il cinema di Nicolas Philibert si conferma un toccasana, oltre che una mosca bianca nel panorama, spesso manipolativo, del documentario post Michael Moore