La geografia identitaria e politica di un popolo per Philip Sotnychenko passa attraverso le mappe mnestiche. Un disegno soggettivo che può emergere attraverso i materiali di famiglia o dagli archivi istituzionali di un paese. In entrambi i casi si delinea un lavoro sulle tracce e sui loro contorni, per costruire un edificio senza fine, radicalmente stratificato. Il luogo indicato dalle mappe non dipende da una temporalità esclusiva, ma risiede nella sospensione tra la qualità effimera delle immagini stesse e la persistenza del ricordo. Le linee della memoria diventano allora semi dal passato utili per intravedere il futuro, le cui possibilità si estendono continuamente a contatto con l’impatto, spesso tellurico, della realtà fattuale.
La Palisiada recupera alcune intuizioni dei cortometraggi girati dal regista ucraino, in particolare “Happy New Year“, film di otto minuti interamente desunto dal suo personale archivio VHS, che rievocava un capodanno degli anni novanta a Riga, dove le speranze di un gruppo di giovani si intrecciavano ai segnali sinistri della seconda guerra cecena.
Alla ricerca di connessioni generazionali, il primo lungometraggio di Sotnychenko inverte i fattori ma non il metodo, per elaborare quello che potrebbe sembrare un lungo flashback rispetto alle speranze del tempo presente, appena precedente all’invasione della Russia in Ucraina. Ma il gesto che include ellitticamente il film, facendo dialogare il qui ed ora con il passato, non è una cornice, quanto una valutazione psicometrica dove la direzione è biunivoca e può attivare molteplici riflessioni sulla relazione padri-figli in un contesto personale e collettivo.
Una donna fredda il suo compagno disteso sul letto a due piazze con un colpo di pistola. Una reazione apparentemente eccessiva contro la logorrea fastidiosa e insultante dell’uomo, ma i cui contenuti sollecitano una riflessione sullo spazio privato di una coppia e la presenza ingombrante dell’educazione paterna nelle scelte e nelle attitudini quotidiane. Un conflitto comune a molte relazioni, che nella sua esasperazione grottesca, consentirà di trapassare la Storia e radicare le origini della violenza con la ripetizione di uno sparo. Tra l’esecuzione sommaria per mano della legge che chiude il film in uno scarico di acqua e sangue e il prologo appena accennato, ci sono una serie di connessioni che Sotnychenko moltiplica su diversi piani di lettura, stabilendo un legame narrativo con la lunga digressione ambientata nel 1996 e altri più strettamente politici, ma soprattutto poetici, se per poesia intendiamo quello spazio dove immagini provenienti da temporalità eterogenee si fondono in uno spaziotempo diverso, apparentemente paradossale.
Per individuare questo grado di intensità che intercorre a distanza di trent’anni, Sotnychenko ripercorre, letteralmente, le immagini VHS filmate come materiale procedurale dalla polizia e conservate nel Museo Del Ministero Degli Affari interni.
Rispetto alle strategie di found footage, sfrutta il materiale per riattivarne l’aura e ricostruire ambienti, sguardo e prospettiva delle immagini amatoriali strettamente connesse alla memoria e all’estetica analogica degli ultimi anni del novecento.
Agli antipodi rispetto all’adozione di una maniera visuale, ne interpreta il flusso ed entra nella portabilità dello sguardo per creare un vero e proprio paesaggio. Come un rabdomante recupera l’estrema performatività delle videocamere, radicandosi nell’occhio stesso del controllo e ricostruendo lo scheletro percettivo di un’indagine minata al suo stesso interno dalla corruzione e dalla contraffazione delle prove. Un documento che non denota, per connotare altre verità nascoste nei gesti, nei suoni, incisi nella pelle del tempo, eppure destinati ad evidenziare l’indicibile, anche oltre le intenzioni stesse dell’autore.
Il modo in cui queste vibrazioni agiscono e reagiscono con una Storia ancora da scrivere, consente a Sotnychenko di reiterare un gesto, un evento, un atto di violenza, uno sparo distante nel tempo, attraverso connessioni politiche e sinaptiche evidenti, ma allo stesso tempo combinatorie e possibili. L’ombra di un regime che ne nasconde un altro, questione centrale e declinata spesso in termini generazionali nel nuovo cinema ucraino, viene rappresentata con il cortocircuito di un occhio che descrive il reale, ma evidenziandone il vuoto, i contrasti, le aporie e tutta la quotidianità minima che sfugge alle ricostruzioni probatorie, attraversando lo schema investigativo come eccedenza.
La storia stessa del potere innerva quindi quella di intere famiglie e generazioni dai due lati di uno specchio. Situarsi è necessario, come indicava lo stesso regista con le magliette anti-pacifiste esposte insieme al suo staff all’ultima edizione del Festival di Rotterdam, ed è possibile solo con lo sguardo transtorico di soggetti attivi in un intreccio di relazioni. Sono queste che ci consentono di interrogare il senso stesso della nostra identità, come un risultato dinamico.
Sotnychenko percorre lo spazio della Storia con l’uso continuo del travelling, lessico in parte riconducibile all’immagine del tempo, sulla quale innesta una riflessione epistemologica legata alla relazione tra media e immagini. L’analogico è ancora il regno dell’arbitrio e del possibile. In mezzo agli schermi digitali sono qualità capaci di rivelare la dimensione performativa dell’immagine stessa e il suo funzionamento. I supporti VHS, suscettibili alla presenza del rumore, rispetto alle copie omologhe di un trasferimento digitale, consentono di inscrivere la consistenza della memoria nell’immagine.
C’è una sequenza raddoppiata e straordinaria nel film di Sotnychenko che ci mostra la dimensione immersiva della ripresa, come messa in scena di una tensione narrativa, e la sua rilettura già mnestica quando viene proposta attraverso uno schermo.
Una serie di sospettati distesi con le braccia sulla testa e obbligati a indirizzare lo sguardo in camera al passaggio dell’operatore, occupano una lunga carrellata a mano che caratterizza il modus di molte sequenze nel film, organizzate secondo l’unità tra piano e sequenza.
Sarà riproposta attraverso un televisore difettoso, dove il colore manca, l’immagine è imperfetta e solo un pugno assestato sul CRT, consentirà una visione più decente.
La sostanza fallace e del tutto pretestuosa del video probatorio, con un colpevole già designato, serve a Sotnychenko per sottolineare l’importanza di un cinema sviluppato a partire dalla presenza e dalla qualità materiale dei dispositivi. Metariflessività che reagisce necessariamente con la coeva estinzione della memoria. Memoria non solo come capacità di situare soggetti e identità nel corso della Storia o delle Storie, ma come luogo della differenza e dell’eccedenza. Nell’era dello standard simulacrale e artificialmente serializzato, “La Palisiada”, sin dal misspelling che designa il titolo, è un portentoso saggio sul difetto come fonte di conoscenza e di coscienza politica.
La Palisiada di Philip Sotnychenko (Ucraina, 2023 – 100 min)
Interpreti: Novruz Hikmet, Sergiy Luzanovsky, Aleksandr Mavrits, Valeria Oleinikova, Vyacheslav Turyanytsya, Olena Mamchur, Andrii Zhurba, Stepan Barabash, Oleksandr Maleev, Oleksandr Parkhomenko
Sceneggiatura: Philip Sotnychenko
Fotografia: Volodymyr Usyk
Montaggio: Nikon Romanchenko, Philip Sotnychenko