Alain Delon nell’acqua di una piscina a Saint-Tropez, Romy Schneider bagnata sotto il caldo sole estivo, la giovanissima Jane Birkin con la sua aria innocente e allo stesso tempo maliziosa.
La piscina ha consegnato all’immaginario collettivo cinefilo frammenti indimenticabili, grazie a un quartetto d’attori che include anche il grande Maurice Ronet, che si incastrano alla perfezione l’uno nell’altro e alla melliflua regia di Jacques Deray, la cui cinepresa scivola tra i corpi dei personaggi e le loro storie.
Mezzo secolo dopo, sembra che a rimanere di questo dramma in bilico tra il thriller e l’erotismo siano soprattutto le sue immagini, e in effetti molto meno si parla dei suoi contenuti. Una decina di anni fa Dior ha utilizzato alcune inquadrature di Delon per un proprio spot, operazione accettabile a patto di non pensare a cosa il suo personaggio faccia nel corso del film. Riproposto quest’anno al Cinema Ritrovato, lo si può ora riscoprire nella sua totalità.
Uscito nel 1969, La piscina rientra nel filone del cinema anti-borghese, all’epoca floridissimo: i borghesi sono belli, colti e mostruosi, schiavi delle loro frustrazioni e della loro libido. Non mancano le suggestioni freudiane, ma al posto del solito Edipo, Deray va a pescare nei miti meno noti: Enomao, re di Pisa (l’antica Pisa nel Peloponneso), è morbosamente geloso e forse innamorato della figlia Ippodamia; per averla, Pelope uccide con l’inganno e con l’aiuto della ragazza stessa Enomao.
In fondo, questa è la storia raccontata da La piscina. Uno scrittore, una giornalista, un musicista e una ragazzina si godono l’estate da ricchi sfaccendati tra pulsioni sessuali e invidie, ma la violenza emerge, improvvisa eppure non imprevedibile. È una violenza flemmatica, indolente come la vita di Jean-Paul, Marianne e Harry, le cui esistenze ruotano attorno alla piscina del titolo, oggetto-simbolo dell’abisso amorale di un’intera classe sociale.
I film politici ibridati con la psicanalisi e con un accenno di velata morbosità erotica sono stati popolarissimi tra gli anni ’60 e gli anni ’70, e forse a questo si deve la parziale scomparsa de La piscina come film complesso. Anche se è un’opera di qualità, scolorisce accanto ai tanti capolavori coevi.
Solo in Italia erano gli anni di Petri, Ferreri, Antonioni, Pasolini, mentre proprio in Francia Deray doveva vedersela con un gigante come Buñuel, in esilio dalla Spagna franchista.
Il suo film non sempre arriva al bersaglio, e soprattutto accusa una seconda parte poliziesca troppo lunga, a causa della quale il discorso imbastito finisce per perdere coerenza e coesione.
Se dunque La piscina non regge il confronto con Bella di giorno o La grande abbuffata, è anche ingiusto ricordarlo solo per la bellezza di Delon e Schneider, per la loro sinuosità voluttuosa.
Perché proprio quella bellezza, quel lusso, quella superficialità sono ciò contro cui si scaglia il film; che a restare oggi sia soprattutto questo è paradossale.
Vale dunque la pena rivederlo anche se non è uno degli apici del suo genere, perché merita di essere ricollocato nello spazio che è suo, quello del cinema politico degli anni ’60 e ’70, dove il fascino delle immagini viveva di un’ambiguità che non deve essere appiattita sulla sola estetica.
La Piscina di Jacques Deray (Francia, 1968 -113 min)
Interpreti: Alain Delon, Paul Crauchet, Romy Schneider, Jane Birkin, Maurice Ronet