Non appena si riesce a smaltire la sbornia Siegeliana introduttiva, quasi dieci minuti ad orologeria, tutti funzione ritmica e niente dialogo, è il momento di entrare in contatto con gli oggetti che regolano i rapporti di forza in questa commedia degli equivoci sulla (s)fiducia amorosa diretta da J. Blakeson dopo alcuni corti di apprendistato e la sceneggiatura per il secondo capitolo Descent, realizzato dal montatore Jon Harris.
Spazio ridotto e il rischio di scivolare nel teorema cinico e dal respiro cameristico del primo Danny Boyle, se non fosse proprio per gli oggetti di cui si parlava. Il ventenne Vic viene convinto dal quarantenne Danny, suo ex compagno di cella a trasformare un piccolo appartamento in una sorta di bunker-prigione, rinforzando le pareti, insonorizzando al meglio gli ambienti. Le stanze dovranno accogliere la giovane Alice Creed, figlia di un uomo d’affari del luogo, che una volta sequestrata, sarà legata al letto dell’unica camera così da poter avviare le trattative per il riscatto. Ma Alice ha un’anima, e soprattutto, un corpo ribelle.
C’è un’attenzione materiale e artigianale alla costruzione di questo piccolo set, un dispositivo messo a nudo nel suo farsi, tanto da chiudere fuori il mondo esterno con una dinamica preparatoria che sembra una sessione di bricolage extra-diegetica, strategia mimetica di un piccolo cinema fai-da-te vista quasi dall’interno e diaframma teatrale per introdurci nel luogo della tortura come arena basicamente performativa.
Lucchetti, manette, corde, bavaglio con morso ovale, nastro adesivo, catetere, secchio per defecare, pallottole piantate nel muro, ingoiate, rivomitate, e su tutti il corpo ribelle di una sorprendente Gemma Arterton, già debordante in altri panni (basta guardare il backstage di Prince of Persia per valutare l’approccio del tutto “fisico” agli ostacoli del set da parte dell’attrice Inglese), e qui soggetto riottoso a soccombere agli strumenti di tortura, utilizzati da Blakeson in versione disfunzionale, un momento prima di incepparsi o di assumere inedite collocazioni di senso.
E’ questa permeabilità giocosa che consente a Blakeson di barare sfiorando l’improbabile, una persistenza del set e delle “cose” che sovrasta anche il tentativo di rovesciamento della traiettoria soggettiva in una versione femministeggiante sin troppo teorica in fondo; sono molto più potenti le smorfie irriverenti di Alice, l’attenzione maniacale e feticista ai suoi piedi laccati, martoriati, osservati, esplorati da un piccolo ragno, rivelatori di uno stato d’animo sia nella cattività che nel tentativo di liberarsi, l’irriducibilità della Arterton al gioco ritual teatrale del massacro.
E insieme al suo corpo è proprio sul letto vuoto, sulla porta sigillata, sugli elementi materiali del set ormai deserti, sulle tracce materiali del gioco che l’occhio di Blakeson ritorna.
Titolo da recuperare questo di Blakeson, grazie anche al Dvd pubblicato in questi giorni da Mikado con distribuzione CG Home Video, qualità standard audio/video eccellente, al minimo la dotazione di Extra che include semplicemente il trailer del film.