giovedì, Novembre 21, 2024

La testimonianza di Amichai Greenberg: la recensione in anteprima

Ne "La testimonianza" (The testament), nelle sale dal 25 gennaio in occasione della Giornata della Memoria e già presentato lo scorso anno a Venezia nella sezione Orizzonti, Amichai Greenberg si racconta attraverso gli occhi di Yoel, suo alter-ego, storico meticoloso quanto ortodosso ebreo, che nella ricerca della verità assoluta vedrà ogni certezza personale sfaldarsi. Distribuito per l'Italia da Lab 80

Se parleremo non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.
Primo Levi continua, totale e imperituro, ad esprimere il dramma di un popolo, quello ebraico, e di un secolo tutto, il Novecento. Il sentimento dell’abisso, la paura dell’oblio, il muro del silenzio. La riscoperta fiducia nell’Uomo, la strenua fede nella parola, la volontà di infrangerli, i muri.

L’israeliano Amichai Greenberg, figlio di sopravvissuti alla Shoah, testimonia l’universo sottaciuto degli orfani di quella generazione, orfani di emozioni cresciuti con il peso indicibile di un’eterna mancanza. Lo fa caricandosi del fardello dell’intellettuale, tentando, con il suo esordio sul grande schermo, di infrangere le barriere invisibili tra pubblico e privato, di scavare nei territori imperscrutabili di un’anima collettiva ma con difficoltà condivisa.

Ne La testimonianza (The testament), nelle sale dal 25 gennaio in occasione della Giornata della Memoria, già presentato lo scorso anno a Venezia nella sezione Orizzonti, il regista si racconta attraverso gli occhi di Yoel, suo alter-ego, storico meticoloso quanto ortodosso ebreo, che, nella ricerca della verità assoluta, vede il proprio sé scindersi, ogni sua certezza personale sfaldarsi sotto il peso di quella stessa verità, cui sarà fino in fondo, pur tra i tentennamenti, fermamente devoto in quanto studioso e in quanto uomo. Ed è proprio la specificità del punto di vista a permettere al film di percorrere un tracciato diverso dai soliti sentieri battuti sul tema.

A Lendsdorf, fittizio villaggio austriaco, non luogo che è ogni luogo, monumento interiore innalzato contro il tempo che nasconde, tempio della memoria di fronte alla tendenza dell’essere umano a dimenticare, nelle notte tra il 24 e il 25 marzo 1945 vennero uccisi duecento ebrei; di loro non resta traccia, molti dei pochi testimoni hanno scelto, più o meno liberamente, di tacere segreti; “la guerra non è finita, le persone sono le stesse, io voglio continuare a vivere”, dice uno di loro.

A Yoel l’onere di fornire le prove dell’esistenza di quel campo di sterminio, prima che degli industriali vi costruiscano sopra nuovi complessi abitativi.

La testimonianza viaggia su due binari per buona parte del film paralleli, poi inevitabilmente destinati ad intersecarsi in una collisione catartica per il protagonista. Da una parte la ricerca storica, sviluppata secondo gli stilemi classici del film d’inchiesta, efficaci nel creare tensione crescente, quasi si trattasse di un thriller, dall’altra la caduta di un uomo che si scopre fragile nel momento in cui vengono a mancargli gli unici pilastri su cui la propria identità si reggeva: la solidità delle radici, la stabilità delle tradizioni, il senso d’appartenenza a una comune storia e un comune destino.

Se a Greenberg non riesce distinguersi registicamente, di brillare come di dare la misura del torbido, di scavalcare o rendere incisiva quella medietas espositiva che appesantisce il film, va lui riconosciuto il merito di aver saputo traslare lo sguardo appena al di fuori della retorica, al di dentro di un’umana coscienza particolare, sondandone luci e ombre, restituendo l’idea che se la Verità drammaticamente disgrega, è l’unica strada per potersi dire autenticamente integri.

Veronica Canalini
Veronica Canalini
Critica Cinematografica iscritta al SNCCI. Si anche classificata al secondo posto al concorso di critica cinematografica “Genere femminile: quando le donne criticano il cinema” indetto da Artemedia, oltre a scrivere di Cinema per Indie-eye, si è occupata di critica letteraria per il Corriere del Conero.

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