Non c’è coming of age più appassionante e crudele di quello offerto dalle favole, e Lucile Hadžihalilović lo sa bene.
In questo “Bergfilm” fotografato attraverso cristalli, vetrini e un glass darkly, l’autrice di Earwig adatta a modo suo La regina delle nevi di Andersen, sostituendo il bimbo con la diciassettenne Clara Pacini.
La regina, reginissima e terrorizzante, è nientemeno che Marion Cotillard. La fotografia livida di Jonathan Ricquebourg fa miracoli nell’impregnare di mistero questo racconto altoatesino (ma francofono) ambientato nei primi anni Settanta.
Le riprese montane sono da brividi. Hadžihalilović a sua volta azzarda una magia complicata che può anche non arrivare, cioè la metamorfosi di una narrazione sognante, misteriosa nel senso più astratto e assoluto del termine, in una storia concreta, vera, durissima. Qualcuno dirà che così facendo il sortilegio s’infrange e il cristallo diventa un ninnolo. Ma il film regge, diventando sempre più una storia di resistenza – oggigiorno si direbbe: resilienza – e di traumi superati.
La tour de glace regala sequenze hitchcockiane a base di corvi, fughe nell’immaginario degne di Heavenly Creatures (1993) e una scena di pattinaggio sul ghiaccio con It’s 5 O’Clock interpretata dagli Aphrodite’s Child che è ipnosi pura.
C’è anche tanto cinema nel cinema, con Gaspar Noé (compagno di Hadžihalilović) imparrucchinato e intento a girare pellicole di genere. Il suo personaggio si chiama “Dino”. Magnifico e dolente anche August Diehl in un ruolo dimesso da medico, maggiordomo, ex amante della Gloria Swanson incarnata da Cotillard.
Un film lineare malgrado tutto, potentemente femminile, capace di creare un mondo tutto per sé. Chapeau.