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La Tour (Lockdown Tower) di Guillaume Nicloux: recensione

La Tour di Guillaume Nicloux, pensato e scritto in forma automatica durante l'ultimo confinamento forzato dalla crisi epidemiologica, è una delle visioni più oscure e terribili sull'estinzione di tutte le forme che regolano l'organizzazione sociale. Visto al Festival "Oltre Lo Specchio" 2023

Guillaume Nicloux rilegge il suo stesso cinema attraverso uno schermo nero che non riflette più la luce. Come un materiale composto da nanotubi di carbonio, capace di ridurre radicalmente lo spettro del visibile, l’antimateria che circonda un imponente grattacielo nella suburbia francese, separa l’interazione microsociale dei condomini dall’orizzonte esterno, ormai caratterizzato dal nulla.

Quel velo che rivela la non reciprocità dello sguardo, non è attraversabile, pena la dissoluzione istantanea. Il dissidio tra fenomeno fisico e l’altrove viene quindi spazzato via per concentrare nelle cellule abitative della grande torre il determinismo della sopravvivenza. L’assetto e l’organizzazione interna degli spazi seguirà i criteri delle gang di periferia, l’acutizzarsi delle tensioni interetniche, l’abuso di potere come unica possibilità, le aberrazioni più estreme incluso il cannibalismo e soprattutto un’inesorabile discesa nei recessi della coscienza, secondo un processo involutivo che spazza via la modernità per riprodurre l’ultimo bagliore di umanità sui pittogrammi di una caverna.

Pensato e scritto in forma automatica durante l’ultimo confinamento forzato dalla crisi epidemiologica che ha colpito il globo, La Tour ha molto del cinema di Nicloux per il modo in cui la morfologia di un luogo costringe i personaggi a forzarne i limiti.
L’oscura funzionalità causale che determina la narrazione, vicina per certi versi alla rilettura delle dinamiche del cinema di Hawks che attraversano quello di Carpenter, cerca la libertà nei volti e nell’improvvisa illuminazione individuale del gesto. L’unica possibilità di rovesciare il teorema della fine, non è il superamento metafisico da una condizione bestiale, ma la consapevolezza del nulla come compimento metastorico, oltre i confini dell’orizzonte umano, che a quell’origine abissale è destinato.

Una semantica del niente che costringe a guardarci attraverso e a reagire alle forme del pensiero occidentale che regolano l’organizzazione sociale, filosofie di morte destinate a sancire l’autodistruzione.

Mentre la rappresentazione empirica può solo concentrarsi sul crollo di ogni progetto collettivo, dove il prolungamento della specie viene annichilito dalla messa a morte dei propri figli, partoriti per essere mangiati insieme all’allevamento funzionale degli animali domestici, l’orizzonte negativo che riduce progressivamente lo spazio, spingendo gli ultimi sopravvissuti nei sotterranei, è l’unica dimensione che rifugge qualsiasi possibilità figurale.
Quel buio, a cui Nicloux sembra tragicamente sottrarre anche la possibilità infantile di un’immaginazione mostruosa e creaturale, è il segno stesso della libertà nell’irrappresentabilità. Ogni riferimento e qualsiasi coordinata vengono quindi disattesi, persino il movimento più tipico della discesa verso gli inferi.

Al di là delle apparenze strutturali quindi, alimentate dalla costruzione di un set caratterizzato dall’ibridazione tra gli spazi abbandonati di Aubervilliers e la ricostruzione scenica delle unità abitative, il film è attraversato da una forza istintiva che riesce ad individuare la sopravvivenza dell’umano nell’inumano, esattamente come accade con la strenua lotta tra luce e buio.

Persino la musica di Tim Hecker, vicina alla qualità sottile del sound design, oltre l’apparenza di un’ossessività cronometrica vicina alle specifiche strategie dell’elettronica quando si relaziona con il cinema di genere, è in realtà un esperimento di musica microtonale che distorce la percezione del tempo ed esonda fino a confondersi con le sorgenti diegetiche del suono.
In termini percettivi liquefà e dissolve la realtà empirica aurale rivelando l’avanzare del vuoto, mentre ci illudiamo che l’urgenza del ritmo possa condurre l’azione da qualche parte.

Ed è centrale in questo senso il personaggio di Assitan interpretato da Angèle Mac, soggetto del titolo provvisorio assegnato al film, che forse sin troppo esplicitamente avrebbe potuto definire i confini di un nuovo principato. L’attrice nota al pubblico francese per la sua partecipazione a Skam e qui nel suo primo ruolo per il grande schermo, incarna l’ultima possibilità di uno spirito libero e individualista che non perde la traccia matrilineare della resistenza all’orrore. Con un esterno indicibile, l’assedio nel film di Nicloux è completamente introiettato, tanto da contrapporre l’assenza di libertà sottesa da qualsiasi contratto sociale, a quella totale dischiusa dal niente.

Tutto nel microcosmo dell’edificio riconduce a più storie sociali, identitarie, politiche e religiose, attraverso una condensazione radicale delle peggiori utopie al potere. L’aggettivazione distopica avviene quindi attraverso la metamorfosi negativa del sogno comunitario collettivo, in una dimensione dove il potere si manifesta, tout court, come esercizio ineludibile del dominio.

Assitan è al contrario un personaggio ancora nomadico, vive completamente la disgregazione del suo gruppo sociale, e abita i recessi e gli ambienti labirintici della torre come un ratto, fuori da ogni dinamica consociativa. Magnetica e austera nella sua bellezza dai tratti guerrieri, ristabilisce un legame materno, quasi nella direzione anti-parentale preconizzata da Donna Haraway, ma senza la sua visione ecofemminista. Non c’è alcuna falsa speranza nelle premure che riserva come un dono ad un bimbo salvato da una mattanza, né il suo nome, la cui derivazione affonda le radici nella tradizione islamica di Aicha, preconizza altra “vita” rispetto a quella radicata con ostinazione nel presente.

L’entomologia post-umana di Houellebecq, con cui il regista francese ha collaborato due volte e che qui ringrazia nei titoli di coda, trasmette alcune energie al film di Nicloux, nella descrizione di un inesorabile tramonto occidentale insieme ai suoi valori fondanti e radicati nell’Illuminismo.
La collettività de La Tour è in fondo come un nido di migali, nemica di ogni essere vivente, mentre la resistenza di Assitan guarda già altrove rispetto all’ipotesi di una natura indifferente.

Nell’assecondare il desiderio del bimbo salvato, racconta probabilmente per l’ennesima volta la storia di un leone e un cagnolino. Con una delle fiabe di Lev Tolstoj dedicate all’assenza di misericordia degli esseri umani, contrapposta all’innocenza dello sguardo animale, Nicloux dopo aver sfondato una stanza dietro l’altra, spalanca il suo film alla contemplazione del vuoto.

Finalmente fuori dalla prigione dei sensi, dei sentimenti e delle passioni, la morte è niente, materia che assorbe tutto. Ribaltando il mito platonico della caverna, lo schermo esterno non emette alcuna luce, ma neutralizza ogni riflesso, in attesa che l’ultimo segno materiale venga definitivamente cancellato.

La Tour di Guillaume Nicloux (Francia 2023, 89 min)
Interpreti: Ahmed Abdel Laoui, Ayoub Bara, Jules Dhios Francisco, Hatik. «continua Jules Houplain, Angèle Mac, Kylian Larmonie, Merveille Nsombi, Nicolas Pignon, Igor Kovalsky, Marie Rémond, Judith Williquet, Modeste Nzapassara, Coline Beal, Kevin Bago, Bruni Makaya, Pierre Aventuna, Lina Camelia Lumbroso, Laurent Poignot, Jean-Baptiste Seckler, Godefroy Donzel, Gradi Beinz, Saliha Bala, Anouchka Csernakova, Dominique Verrier, Senouci Otmane Boucif, Fatiha Boucif, Mohamed Mansour Boubzizi, Bruno Forget, Rayan Aznag, Ricardo Martinez-Paz, Marie Bray, Françoise Remont, Félix Kysyl, Jean-Paul Dubois, Françoise Huguet, Léa Boublil, Younès Boulaalam, Lisa Livane, Josh Angeli, William Armet, Samira Baïbi
Fotografia: Christophe Offenstein
Tim Hecker: Musica

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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