Home covercinema La Vénus d’argent (Spirit of Ecstasy) di Héléna Klotz: recensione – TIFF23

La Vénus d’argent (Spirit of Ecstasy) di Héléna Klotz: recensione – TIFF23

Nel mondo fantasmatico e impermanente della nuova finanza, Jeanne è la dea di una nuova religione. Come la venere collocata sopra le Rolls Royce vive nel movimento, per l'istante. Creatura ibrida, abita e ricrea la notte a propria immagine e somiglianza. Sul nuovo, splendido film di Héléna Klotz, visto al Toronto International Film Festival 2023

La notte che inghiotte la suburbia ai margini di Parigi, per Héléna Klotz è ancora uno spazio popolato da fantasmi. A undici anni di distanza da L’Âge atomique la regista francese esplora le aree dell’inconscio urbano per delineare un vero e proprio rituale di passaggio legato alle pulsioni e alle speranze della giovinezza, quando con fame di conoscenza e riscatto, sconfina nel territorio immaginato dalla maturità.

Jeanne attraversa gli ultimi istanti della notte a bordo di uno scooter; l’algida geometria dei grattacieli fotografati da Victor Seguin ci introduce nelle fessure di un mondo che trasforma il viaggio urbano in una traversata interstellare, con quello sguardo che già in Gagarine ribaltava il punto di vista documentale sulla banlieue in una prospettiva fantascientifica. Ma a differenza del film di Liatard & Trouilh, la cui immagine deve molto al talentuoso direttore della fotografia, Klotz sceglie i quartieri residenziali, la città-astronave del mercato e del sogno luxury, per individuare un altro deserto.

Lo schianto di una vetrina, il furto deciso e affrettato di un outfit per affrontare il mondo della finanza. Un incipit che conferma l’amore della regista francese per l’astrazione del Cinéma du look, declinato con lo stesso lirismo furente, ma rinnovato da uno sguardo contemporaneo capace di rivelare l’avvitamento tra ambiente e mutazione identitaria con sorprendente verità.

Confinata nel perimetro disciplinato di una caserma per il mestiere del padre, Jeanne vive i suoi 24 anni ad occuparsi dei fratellini minori, mentre il sogno è quello di capitalizzare la passione e il talento per la matematica finanziaria in una prospettiva futura che niente ha a che fare con il denaro, quanto con la possibilità di fondare i presupposti per una nuova identità di genere, dove controllo, abilità e intuizione possano riconfigurare gli stereotipi dello spazio sociale.

Jeanne è una creatura mutante e sulla trasformazione Klotz insiste con i dettagli essenziali che delineano la riappropriazione della politica corporea, come esperienza soggettiva capace di mettere in discussione i parametri collettivi. La scheggia della vetrina infranta conficcata appena sopra il seno sinistro, una fascia stretta che comprime il torace e ferma l’emorragia, la vestizione con i codici e le forme dell’impresa, sono i segni del primo ingresso in una realtà professionale prevalentemente maschile. Sotto quella foggia imposta, continua a sanguinare.

La transitorietà dell’ambiente finanziario, sempre in bilico tra calcolo probabilistico e istinto, viene filmata nella luce azzurrognola di vetro e metallo che caratterizza i complessi lavorativi, gli uffici di grandi dimensioni, ma soprattutto l’estensione notturna di un mestiere dalla consistenza fantasmatica. Ciò che Jeanne stabilisce in termini di successo e risultati, cercando di bucare il muro di pregiudizi che caratterizzano la sua collocazione, è costantemente sul crinale della scomparsa. Gli uffici possono essere improvvisamente smantellati, rivelando l’interno di uno spazio urbano già desertificato.

Jeanne cerca di stabilire una presenza dominante sconfinando da un habitat all’altro, come Jules in Diva. La scultura della Rolls-Royce piazzata davanti al motorino, nel film di Beneix rappresenta l’estasi nella velocità. Anche Jeanne, come la Venere della nota automobile, trapassa luci e volumi di una città derealizzata con lo spirito della conquista senza requie. Vive nel movimento, per l’istante, accordando la sua storia passata con l’evoluzione di una dimensione affettiva e sensoriale che può definire solo come neutra.

Con la neutralità di genere che assorbe femminile e maschile per trovare altre espressioni possibili, Klotz rinnova modi e toni del racconto di formazione ricombinando le regole del desiderio tra linguaggio d’amore e amore per il lavoro come luogo di libertà.

Se la tossicità originaria dell’ambiente militare già contiene alcune impercettibili occasioni di disinnesco, per esempio negli sguardi della soldatessa di guardia che saluta Jeanne ad ogni ingresso notturno, è la capacità di affrontare la superficie levigata del contesto bancario, distante ed erotica, a contribuire alla costruzione identitaria della giovane donna. Ostile, illusorio e incostante come un miraggio tecnologico, quel mondo si fonde con il desiderio di controllo, tanto da modellare la forza ibrida di Venere con un conio del tutto nuovo. Tra libertà ed efficienza, le stazioni della disillusione e della trasformazione sono solo in parte una derivazione delle notti bianche o del deambulare dei sognatori Bressoniani. Rispetto all’inconciliabilità di quei personaggi con la desacralizzazione del mondo coevo, Jeanne diventa la dea di una nuova religione.

Jacques Audiard, che ha collaborato trasversalmente alla sceneggiatura, infonde in parte quel vitalismo che anima il suo ultimo Les Olympiades, ma il personaggio di Klotz individua la dimensione promiscua nel costante riadattamento del corpo e dell’azione di un’identità in transito. Centrali gli incontri con i personaggi interpretati da Anna Mouglalis e Mathieu Amalric, entrambi vampiri di anime giovani, rimangono abbacinati dall’ostinazione pura della venere nel delineare il proprio ruolo.

Cosa è diventata Jeanne dopo la ricodificazione del vecchio rapporto con l’ex fidanzato, dove tutti i segni del possesso e del ricatto vengono annullati in un riconoscimento reciproco e sostituibile di mascolinità e femminilità?

La notte, ancora una volta, nel cinema della regista francese, è regno della trasformazione, luogo dove l’incombere di una minaccia ignota nasconde tutte le potenzialità individuali.

Nella corsa continua con-tro i complessi architettonici di vetro e cemento, come una super-eroina hi-tech, la Venus D’Argent domina una città sospesa tra giorno e notte. Nella straordinaria visione immoralista, ma profondamente vitale di Klotz, Jeanne rifonda la città e le sue regole, abitandone gli snodi senza alcuna paura.

Pomme, la cantante francese di adozione canadese, interessata da tempo alla rappresentazione del corpo e del desiderio in controtendenza rispetto alla polarizzazione di genere che ha determinato forme e modi della musica pop, incarna perfettamente gli stadi della mutazione identitaria e fisica di Jeanne. La sua interpretazione è attraversata da un vibrante erotismo legato al riconoscimento di una qualità eccedente rispetto all’ambiente di formazione. Quando cambiano le occasioni e le condizioni, non è più lo spazio comunitario a plasmare l’individuo, ma è il primo a rinascere dalla volontà del soggetto.

Se nello smarrimento cognitivo dei personaggi immaginati da Fincher/Palahniuk, la città si sfalda come una ricombinazione della mente, il paesaggio notturno senza vita apparente descritto da Klotz promana da una forza creativa individuale, quella di Venere al comando, viva nel proprio mondo.

La Venus D’argent di Helena Kotz (Francia 2023, 95 min)
Interpreti: Claire Pommet, Niels Schneider, Sofiane Zermani, Anna Mouglalis, Grégoire Colin, Mathieu Amalric
Sceneggiatura: Noé Debré, Héléna Klotz e Emily Barnett. Con il contributo di Jacques Audiard
Fotografia: Victor Seguin
Montaggio: Julien Lacheray

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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