venerdì, Novembre 22, 2024

L’Armée du salut di Abdellah Taïa a Venezia 70: memoria e identità

L’Armée du salut dello scrittore e regista marocchino Abdellah Taïa, selezionato all’interno della Settimana della Critica a Venezia70, è opera prima del giovane scrittore, passato alla regia per quella particolare sfida che trasporre la scrittura in immagini rappresenta, in particolare se regista e autore del romanzo sono la stessa persona.
Impegno stilistico di forte portata, la realizzazione del film è forse un ancor più decisivo passaggio esistenziale per Abdellah Taïa, che ha scelto di affidare al cinema quel suo romanzo del 2009, “un libro che racchiude l’origine di tutto ciò che sono”, in cui l’ omosessualità del protagonista è la sua proiezione autobiografica.
Le vicende legate al suo nome sono ben note nel mondo, dalla coraggiosa lettera alla madre del 2009, pubblicata su Tel Quel col titolo “L’omosessualità spiegata a mia madre”, alle difficoltà in patria e altrove legate al suo impegno civile.
Quello che colpisce in Taïa, seguendo le immagini del film e dimenticando volutamente ogni battage pubblicitario legato alla sua omosessualità, è la sensazione che si stia parlando d’altro, e cioè di vita in famiglia, legami amorosi, amicizia, tempo libero e tempo di lavoro, passione e abbandono, ricerca di libertà e bisogno di aiuto per farcela. Tutto questo per definire l’orizzonte di una vita, quella di Abdellah bambino e poi adulto, il suo percorso di formazione e le strettoie in cui si muove, non in quanto omosessuale, ma come essere umano tout court, in un mondo che è dura fatica affrontare un giorno dopo l’altro.

Diviso in quadri da stacchi in nero, il film segue la scansione temporale del romanzo e ne mutua la forza affidata alla sottrazione. L’autore sceglie la poetica del frammento, e il cammino del protagonista dal Marocco alla Svizzera, dieci anni, si restringe nello spazio e nel tempo. E’ l’annullamento delle barriere temporali che i percorsi a ritroso realizzano, in quella recherche di identità che la memoria va costruendo e che non si forma che lì, in quello spazio chiaro e confuso insieme che l’arte ricompone in forma definita.

Film di grande raffinatezza formale, crea un flusso di immagini cariche del respiro dei luoghi. Sentiamo il calore di interni marocchini dove si dorme ammucchiati tutti insieme fra terra e divani e si mangia con le mani dal piatto comune, mentre in televisione scorrono film egiziani anni ’50; respiriamo l’odore aspro di sudore e di spezie del suk e l’aria sabbiosa e salmastra del mare, mentre Abdellah cammina, con le lunghe gambe adolescenti, scoprendo di volta in volta il sesso, la violenza, la dolcezza del padre e la forza della madre, l’amore quasi feticistico per il fratello che lo abbandonerà e la tenerezza di un amante che dopo gli regala un’anguria. Infine arriviamo con l’eroe divenuto adulto a Ginevra, dove una borsa di studio gli darà, forse, qualche possibilità.

La fotografia vira al blu; selciato bagnato, panchine per incontri effimeri, autobus e metro, un mondo a cui abituarsi, con fatica, dolore e coraggio. Spariti i colori del sud e il soffio caldo del phön del deserto, saranno la solitudine e la volontà di stringere i denti a tutti i costi le nuove coordinate di Abdellah. E arriva l’Esercito della Salvezza, l’Armée du Salut , sproporzionato nome altisonante per tanto poco: una stanzetta, un intervento di soccorso immediato fin quando pratiche burocratiche e quant’altro non facciano il loro lento corso, la fredda e asettica efficienza svizzera.
Ma la memoria è sempre lì, la vera armée du salut, e può essere una canzone egiziana, quella che cantava il divo di un vecchio film in televisione un giorno, e che il compagno di stanza gli canta, per ringraziarlo di aver diviso con lui un’arancia.

[…] sarei diventato un altro, qualcuno che ancora non conoscevo, avrei riso, pianto, imparato, amato, deluso gli altri, deluso me stesso, commesso errori, sarei andato avanti nonostante tutto, avrei costruito qualcosa per me, solo per me e più tardi per la mia famiglia, avrei cantato, danzato, sarei stato solo, con gente nuova, avrei avuto il panico, pianto, fatto l’amore, dormito, mi sarei svegliato, avrei avuto molto freddo, atteso il ritorno del sole, visto la neve, finalmente […]
(da Abdellah Taïa, L’armée du salut, 2009, Isbn edizioni)

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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