venerdì, Novembre 22, 2024

Last Hijack di Tommy Pallotta, Femke Wolting – Festival dei Popoli 55: la recensione

Il fenomeno della pirateria che coinvolge le coste somale,  è diventato una pericolosa minaccia fin dai primi anni ’90 per le acque tra Corno d’Africa ed Europa, questo non ha congelato l’interesse di  Tommy Pallotta e Femke Wolting nel realizzare un progetto che si avvicinasse al punto di vista più rischioso, quello degli stessi pirati.

In realtà, Pallotta in una recente intervista ha raccontato di aver diretto il film a distanza per l’alto livello di pericolo in cui versa il paese da ormai vent’anni, optando per una favorevole condizione co-produttiva che gli ha consentito di impiegare una troupe somala sul territorio, così da raccogliere le testimonianze più confidenziali; mentre i giornalieri venivano caricati attraverso la rete, i due autori potevano fornire istruzioni precise sulle mosse successive, dopo aver visionato il materiale.

Anche per questo il film è uno straordinario documento che pur mettendo al centro la controversa esperienza di un gruppo di veri pirati, racconta attraverso le loro storie la situazione socio-politica di un intero paese.

Il materiale utilizzato da Pallotta e Wolting non si limita alla raccolta di interviste e alla flagranza del racconto “en directe”, ma si allarga ad alcune sequenze di animazione realizzate da Hisko Hulsing con una tecnica che rimane a metà tra suggestioni pittoriche e la perfezione dei movimenti sottoposti al realismo del rotoscoping, lo stesso che Richard Linklater ha adottato per i suoi Waking Life e A Scanner Darkly, film dove Pallotta figurava come produttore.

All’animazione quindi sono affidati i momenti più visionari, il flusso di coscienza del protagonista e sopratutto i racconti della memoria che descrivono le azioni più pericolose del gruppo di pirati.

Mohamed è stato un pirata per lungo tempo, ma il desiderio di tornare ad agire è fortissimo quanto l’ansia di libertà che le sequenze di Hulsing assimilano più di una volta al volo regale e minaccioso di una grande aquila. L’ipotesi di un’ultima spedizione è alimentata dalla necessità di dare una svolta alle esigue entrate che riesce a realizzare con la sua attività come pescatore; attraverso un tentativo di reclutamento Mohamed si confronta con i vecchi compagni di avventura innescando un confronto che non ruota semplicemente intorno alla febbre dell’arrembaggio ma delinea la vita sociale di un’intera comunità, dilaniata dalle guerre tribali, messa in ginocchio dagli eventi naturali, piegata dalle feroci rappresaglie dei jihadisti; sono schegge di memoria che estendono le possibilità del racconto e che raccontano il percorso di Mohamed da una prospettiva molto più ampia rispetto a quella della pirateria.

Il conflitto con la famiglia rappresenta uno dei momenti più intensi del film, le interviste commissionate da Pallotta e Wolting si fermano sopratutto sulla figura della madre e successivamente su quella della novella sposa di Mohamed, donne distrutte dalle attitudini del pirata, costrette a convivere con un profondo sentore di morte.

Lo stesso raccontato dal giornalista Abdifatah Omar Gedi, fondatore di un’organizzazione anti-pirateria, che durante una testimonianza in radio riceve continue minacce anonime via telefono; lo studio radiofonico filmato in penombra, vero e proprio avamposto, contribuisce alla descrizione di una figura quasi eroica, sospesa in uno spazio precario, dove la morte continua a segnare i confini della sua esistenza.

Allo stesso tempo il film si apre ai colori della tradizione, mettendo a confronto le relazioni sociali mediate dal denaro e l’aspetto più comunitario di queste stesse convenzioni, nella splendida sequenza del matrimonio.

Su questa linea, la descrizione del difficile rapporto di Mohamed con la moglie, è un doloroso riverbero delle sue scelte e spinge lentamente il film verso la descrizione dei processi esogeni che in qualche modo circondano e causano il fenomeno della pirateria, un processo che per Pallotta e Wolting confonde istanze sociali con il flusso di coscienza interiore; l’animazione, oltre a ricostruire le azioni più pericolose altrimenti infilmabili, concretizzano sempre di più la psiche e i desideri di Mohamed come un incubo dai colori plumbei; una sovrapposizione tra il desiderio di libertà e un destino profondamente tragico

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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