Ina Weisse sembra attratta dalle disfunzioni famigliari. In linea con l’approccio antropologico di certo cinema germanofono, sposta il set dalle Alpi innevate ad uno scenario berlinese chiuso nella dimensione classica e concentrazionaria della tradizione educativa musicale. Der Architekt congelava il disvelamento bergmaniano delle dinamiche affettive in uno spazio senza via d’uscita, elaborando la distruzione interiore di un intero nucleo attraverso l’inesplicabilità dei sentimenti. La Berlino de L’audizione è in un certo senso quella della tradizione e si disvela tra le stanze ferme nel tempo del conservatorio e gli interni famigliari di una borghesia tedesca che ha affidato la propria esistenza all’efficienza e alla disciplina.
La Weisse insiste in termini cromatici e auditivi, accentuando la presenza del legno in tutti gli ambienti esplorati, creando quindi un beffardo slittamento percettivo tra il calore di una “classicità” formale che ha penetrato anche gli arredi e la severità che questa stessa veicola.
Eliminando il commento musicale, ad eccezione di quello che caratterizza le esecuzioni diegetiche, si cerca di stabilire l’intensità dell’emozione fisica legata alla relazione con lo strumento, a partire dalla sua sistematica negazione.
Rispetto al sadismo hanekiano che in qualche modo è stato identificato come genoma da tutta la critica internazionale, per la somiglianza superficiale e tematica con La Pianista, il film della Weisse non sembra partire da quella prigione pulsionale in cui il regista austriaco chiude se stesso insieme ai suoi personaggi, per predestinare cause e conseguenze di un teatrino nichilista della crudeltà. Questo perché, almeno nelle intenzioni, Weisse cerca di inserire una sequenza di sabotaggi che smontano e rendono inefficaci le attitudini educative di Anna, l’insegnante di violino interpretata da una sempre notevole Nina Hoss.
L’infrazione alle regole è offerta in primo luogo dallo sguardo affettuoso del marito Philippe, in cerca di quella vulnerabilità da cui Anna sembra attratta e respinta allo stesso tempo. A colpirla non sarà infatti il talento di Alexander, il giovane allievo che deve preparare per il concerto di ammissione, ma la sua inadeguatezza rispetto ad ogni contesto sociale. Materiale umano su cui lavorare per stroncare quell’unicità, piegandola ad una concezione del suono, dello sguardo e dell’esecuzione strettamente regolata dall’assenza dell’imprevisto.
Le uniche aperture vengono segnalate da tutti gli accidenti del caso che colgono Anna impreparata, tanto da impedirle l’allestimento di quella regia funzionale che ha immaginato: l’irriducibilità di Alexander ad un automatismo che non sia il suo, quella del figlio allo sguardo implacabile della madre, ma anche una serie di asincronie motorie di cui il film è disseminato, dall’archetto che sfugge di mano alla stessa Anna, durante l’esecuzione in quintetto, al confronto con la collega che insegna lo strumento al figlio, mentre questa mangia con gusto un enorme krapfen alla crema e Anna ne osserva la goffa fragilità, impiccata alla sua consueta e imperturbabile postura, fino alla rovinosa caduta di Alexander che in qualche modo segna in modo definitivo le continue fughe del ragazzo da una narrazione asfitticamente simmetrica.
La Weisse non sembra interessata a scorgere una luce che non sia quella della paura, dell’inadeguatezza e del rancore. Da una parte ne rivela l’origine attraverso il ritratto preciso del patriarcato, concentrandolo nelle intemperanze autoritarie dell’anziano padre di Anna, dall’altra sceglie l’impenetrabilità dei volti, con quello della Hoss che assorbe in modo centripeto tutte le forze in campo. Non si esce infatti dal meccanismo inceppato che caratterizza una figura dolente, incapace di dare una forma ai propri sentimenti e inserita in quel solco teleologico secondo il quale i dolori irrisolti del passato, ricadono all’infinito come inesorabile vendetta contro il mondo.
Allo stesso tempo, questa difficoltà di assegnare ad un volto la complessità di una tavolozza emotiva in termini visuali, sembra propendere per quell’interesse nei confronti del vuoto che è propria, per esempio, del cinema di Bruno Dumont, non tanto in termini stilistici, quanto come risultato di una relazione opaca con il fuori campo.
Anna scambia il dolore, l’eccitazione, la rabbia e la paura, con la stessa gamma emotiva. Come a dire che l’intensità è una dimensione ineffabile e indicibile, tanto da non poter intaccare le possibilità di un’immagine con un carico di senso, positivo o negativo che sia.
(Le foto dell’articolo fanno parte del press kit ufficiale fornito dall’ufficio stampa Studio Morabito)
L’audizione di Ina Weisse (Das Vorspiel, Germania , Francia 2019)
Interpreti: Nina Hoss, Simon Abkarian, Ilja Monti, Serafin Mishiev, Jens Albinus
Sceneggiatura: Daphné Charizani, Ina Weisse
Direzione della fotografia: Judith Kaufmann
Montaggio: Hansjörg Weissbrich