domenica, Dicembre 22, 2024

Le Fate Ignoranti, i primi due episodi della serie di Ferzan Ozpetek: recensione

Disney+ propone da domani 13 aprile in streaming "Le Fate Ignoranti", la serie in otto capitoli scritta da Ferzan Ozpetek e ispirata al suo stesso film diretto nel 2001. La recensione in anteprima dei primi due episodi

Disney+ renderà disponibile da domani 13 aprile la serie “Le Fate Ignoranti“, ispirata all’omonimo film di Ferzan Ozpetek e scritta dallo stesso regista insieme a Gianni Romoli, in collaborazione con Carlotta Corradi e Massimo Bacchini.

Composta da 8 episodi, prende spunto dai personaggi che animavano il film del 2001 interpretato da Stefano Accorsi e Margherita Buy e dal coro variopinto che animava la casa di Michele, il cui volto per la serie è quello di Eduardo Scarpetta.
Cristiana Capotondi interpreta Antonia, mentre Luca Argentero è Massimo, marito della donna e amante di Michele.

Se Massimo assume il punto di vista di un fantasma, come era nel caso di Andrea Renzi, non è solo attraverso gli oggetti, i luoghi e la memoria che manifesta la propria essenza. La serie dedica infatti tutto il primo episodio al personaggio ed entra nel menage tra i due uomini secondo quei principi di serializzazione, segmentazione e dilatazione che caratterizzano le serie espanse a partire da un’opera cinematografica.

I primi due capitoli che abbiamo visto in anteprima suddividono equamente il dissidio di Massimo e il dolore di Antonia, impostando sin da subito il potenziale drammaturgico che delineerà il complesso rapporto di amicizia tra la donna e l’amante del marito.
La morte di Massimo viene immediatamente anticipata per costruire il suo stesso punto di vista “impossibile” su tutta la vicenda, mentre il coro di personaggi che animano la vita e la casa di Michele assume un ruolo centrale che sembra già favorire quella moltiplicazione dei subplot che rafforzano o incidono direttamente sulla linea narrativa centrale.

Ozpetek e Romoli non a caso aumentano il parterre di personaggi per offrire una caratterizzazione più viva, integrando suggestioni che provengono da altri film del regista turco. Ci aspettiamo in questo senso sorprese dal personaggio di Annamaria, la donna legata a Roberta e interpretata da Ambra Angiolini, mentre Scarpetta e Capotondi offrono già nei primi due episodi una bella intensità legata ai gesti, le parole non dette, la relazione controversa con i luoghi e gli oggetti che dividevano in due la vita di Massimo.

Del cast originale rimane l’iconica Serra Yilmaz, sulla quale viene ordita una delle tessiture che rimandano ai rimari della commedia. Ad eccezione di Cocktail d’amore, che viene canticchiata collettivamente in casa di Michele durante un breve frammento, la colonna sonora si limita per il momento al contrappunto orchestrale scritto da Pasqule Catalano, assiduo collaboratore di Ozpetek (tra le altre colonne sonore, quelle per Napoli Velata, Magnifica Presenza, La Dea Fortuna, Mine Vaganti) che in questo caso sostituisce la malinconia struggente della partitura scritta da Andrea Guerra per il film originale, con un gioco di archi che sottolinea spesso gli elementi più giocosi del racconto, delineando per esempio personaggi come Nora, la colf filippina in servizio a casa di Antonia, interpretata da Maria Teresa Baluyot, dilaniata da un pianto estremo ai limiti del grottesco per la morte di Massimo.

Se il primo episodio sembra decollare in modo incerto, nel tentativo di creare un collante narrativo che parta dalla figura di Massimo, fantasma sempre presente con una voce fuori campo forse un po’ ingombrante, già dalla seconda metà del primo episodio, le schermaglie tra la famiglia allargatissima di Michele e la rigidità introspettiva di Antonia, sembrano impostare nella giusta direzione emozionale tutte le direttrici che potrebbero caratterizzare gli episodi a venire.

Se il primo capitolo quindi sembra avere il compito di tradurre il dramma verso la fluidità situazionale della commedia corale, il secondo sembra perfettamente centrato in quella dimensione, anche quando l’ebollizione dei sentimenti sembra condurre altrove.

La gestione dello spazio, fondamentale in tutte le serie e le fiction prodotte in Italia, sembra superare quell’asfissia tipica dei prodotti più comuni, per favorire una maggiore attenzione alla messa in scena dei dettagli e alla definizione degli interni come forme di risonanza dell’interiorità. Il procedimento quindi è allo stesso tempo televisivo, per le ragioni sin qui spiegate, pur riuscendo a dilatare la classica alternanza tra linea orizzontale e derive verticali del racconto, in una terza zona dove l’immagine non soccombe sempre e comunque alla messa in scena della parola.

Prodotta da Tilde Corsi per R&C Produzioni, la serie mantiene il legame con la dimensione pop e melodrammatica della canzone italiana, così cara a Ozpetek, con il commento conclusivo di Mina, che per “Le fate ignoranti” ha scritto la malinconicissima “Buttare l’amore

(Foto dell’articolo – press kit fornito da ufficio stampa Isabella Panzini / Opinion Leader)

Fabiola Destrieri
Fabiola Destrieri
Critico cinematografico. Si occupa della relazione tra arte e cinema. Ha collaborato con alcune riviste del territorio milanese e con alcune gallerie d'arte.

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