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Le mani sulla città di Francesco Rosi: la recensione del DVD CG-Mustang

I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.”
Parole che Francesco Rosi volle in chiusura per Le mani sulla città, 1963, Leone d’Oro alla XXIVesima Mostra del Cinema di Venezia.

Il luogo è Napoli, i fatti parlano di speculazione edilizia, di un bambino che resta invalido nel crollo di una vecchia casa del centro causato dalle vibrazioni prodotte dal vicino cantiere, di un impresario edile, Edoardo Nottola, consigliere comunale che preme perchè il Comune approvi cospicue varianti al piano regolatore e gli dia mano libera nell’occupare il territorio. I suoi cantieri potranno così riaprire, le responsabilità del figlio nella storia del crollo saranno messe a tacere e lui continuerà nell’opera benemerita di creare occupazione e raccogliere voti.

Le mani sulla città – afferma Roberto Saviano nell’intervista contenuta nel ricco repertorio degli extra del DVD prodotto dalla CG Home video dopo il restauro digitale della pellicola realizzato dal CSC Cineteca Nazionale – è il più importante film sul potere mai fatto, un trattato antropologico, una fenomenologia del potere, una architettura del consenso, una dinamica dello scambio, un sismografo della negoziazione”.

Ma, soprattutto, è “un film giusto, un film che andava fatto” dice il regista, ultranovantenne, in un prezioso commento introdotto negli extra ad accompagnare scena per scena la visione del film  e spiegare le sue scelte di regia.
Con la stessa lucida passione e l’immutata coscienza civile di allora Rosi fa da guida in questo viaggio nell’Italia dei misteri, e il suo intento è dichiaratamente didattico: “… da qui si vede quale sarà la materia del film e perchè si chiama Le mani sulla città”.

Rosi persegue un obiettivo preciso, dimostrare come “… con la complicità del consiglio comunale di una città, apparentemente secondo norme corrette, sia possibile che le decisioni prese vengano alterate per favorire il disegno criminale del progetto di speculazione edilizia”. Ripete spesso questo concetto e sollecita chi guarda a cogliere con molta attenzione il dialogo tra i personaggi. Solo entrando nei meandri di quel linguaggio che mistifica la verità e nasconde il pensiero sarà possibile capire le dinamiche del potere e combatterle.

La parvenza di legalità assunta da operazioni che in realtà poggiano su corruzione, clientele e connivenza è infatti il male più difficile da individuare ed estirpare. Rosi sa bene che cinquanta anni sono trascorsi e quella realtà sociale e ambientale è rimasta immutata, nonostante l’articolo 54 della Costituzione Italiana continui a recitare: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Anni sessanta, iniziava la nuova corsa all’oro, il cemento, con profitti che schizzavano “al 5000 per cento”, come giura Nottola ai fedeli compari del consiglio comunale. Fenomeno chiamato ancora oggi, in tempi di terremoti e alluvioni, “ricostruzione”, in realtà fu vera e propria “conquista”, come nota  Saviano. La guerra era ormai lontana e l’Italia più che mai divisa e affamata, i ricchi di tutto quel che si poteva spremere da un Eldorado senza controlli nè morale, i poveri delle briciole che cadevano dai loro piatti.Tutto diventò voto di scambio nell’universo della politica. Le mani sulla città fu un pugno nello stomaco, le platee si divisero, i potenti s’indignarono, molti cominciarono a capire.
Metafora di una visione personalistica e corrotta della cosa pubblica, quel titolo entrò nel linguaggio comune come formula per indicare corruzione, malaffare, truffa ai danni dello Stato.

Le mani sono immagine ricorrente fin dalle prime scene, allorchè i consiglieri levano alte le loro “mani pulite” durante un furioso scontro con l’unica voce del dissenso, quella del consigliere di sinistra De Vita, ruolo affidato a Carlo Fermariello, sindacalista e poi senatore PCI. nSalvo Randone nel ruolo di sindaco e Guido Alberti in quello di Maglione, capogruppo della destra, sono fra i pochi attori professionisti a recitare. Rosi volle persone “vere” per il suo film, e così giornalisti normalmente accreditati alle sedute del consiglio comunale e alcuni critici cinematografici formarono un cast d’eccezione che riprodusse con realistica precisione gestualità, linguaggio, fattezze ed espressioni tipiche di un mondo di politici e affaristi blindato nell’arrogante difesa di interessi inconfessabili.

Dediti a intrighi e manovre sottobanco nel chiuso di incontri privati, quando escono allo scoperto si riempiono la bocca del repertorio consunto dell’ufficialità, in un appeal visivo ancora oggi di stupefacente freschezza e attualità.
Dice Raffaele La Capria nel libro Francesco Rosi curato da Vittorio Giacci: “Erano quelli i tempi in cui ancora credevamo che denunciare all’opinione pubblica certi mali significasse in qualche modo combatterli e forse eliminarli. Il cinema sembrava l’arma più efficace per raggiungere questo scopo e da questa convinzione, fortemente radicata come tante altre che allora nutrivamo, sono nati molti dei film più belli di Francesco Rosi. Ogni suo film politico presenta sempre una storia vera e puntualmente documentata, piena di intrecci e connessioni, di cui però non si viene a capo”.

Protagonista assoluta è Napoli, i suoi fatiscenti quartieri spagnoli e le nuove aree di sviluppo colonizzate a perdita d’occhio da orrendi casermoni. Il pino, il Vesuvio, il mare, i colori sono spariti. Ricordiamo Anna Maria Ortese quando diceva: “Il mare non bagna Napoli ”.

Il bianco e nero asfittico che Gianni Di Venanzo sceglie per la sala consigliare e la saletta della commisione edilizia, la gamma glaciale dei grigi che degradano fino al bianco totale, mortuario, per gli interni delle nuove case costruite in deroga a qualsiasi piano regolatore, le panoramiche sul formicaio di palazzi che aprono e chiudono il film, prive di prospettiva, sovraesposte alla luce, di un bianco e nero fortemente contrastato, si esaltano nelle sonorità metalliche di Piero Piccioni. La sceneggiatura di Enzo Forcella, Raffaele La Capria ed Enzo Provenzale registra con esattezza documentaria lo stato dell’arte e prefigura scenari futuri di notevole preveggenza, in un immaginario urbano che  se allora poteva sembrare fantastico, oggi è desolatamente reale.

E’ una Napoli assediata e impotente quella che Rosi mette in scena, ma può essere un luogo qualsiasi del mondo, espropriato della sua identità, devastato nel territorio e fatto ostaggio da un potere invisibile, inespugnabile, che tesse trame occulte ed esce ogni volta trionfante. Protagonista con la città è il costruttore e consigliere comunale Edoardo Nottola, un magnifico Rod Steiger in cammello di ottimo taglio, passo nervoso e sguardo rapace e ansioso, mani sempre sudaticce che si stropicciano o stringono un fazzoletto a detergere la fronte, madida per la tensione.

Candidato ad assessore per la nuova giunta, uomo d’affari e speculatore edile a tempo pieno, usa la sua funzione politica per garantirsi appalti e amicizie giuste. Gli fa da corona la ben nota fauna di “uomini di rispetto”, esponenti di quei settori della piccola e media borghesia sopravvissuta al fascismo e ora in cerca di nuove fortune. Rapaci parvenues (quelli che l’inimitabile colore del dialetto napoletano chiama pezzenti sajuti), dignitari del clero sempre pronti a benedire la prima pietra, galoppini al soldo del migliore offerente, compongono uno scenario devastante.

La struttura del film è circolare. Un lento carrello laterale apre sullo sky line di palazzi che svettano come escrescenze lunari in un’area suburbana simile ad un girone d’Inferno. Il movimento s’interrompe bruscamente sul primo piano delle mani aperte di Nottola. Con gestualità enfatica sta descrivendo al gruppo dei politici il suo piano urbanistico. “Eccolo là – dice indicando la linea dei palazzi – quello è l’oro oggi”. Cambiare il piano regolatore? Nessun problema, una commissione di urbanisti ed esperti del settore ha deciso la fattibilità del progetto. Lo sviluppo della città può prendere direzioni diverse, “dove ora c’è una squallida estensione di terreno il Comune porterà strade, acqua, luce e gas e tutte le altre indispensabili opere pubbliche ”, proclama fiero il sindaco uscente davanti al plastico della città.

Il governo ha stanziato fondi, la popolazione non può che ringraziare e concedere il proprio voto per le imminenti elezioni. Riprese aeree sul mare di cemento, timbri raggelati e stranianti nella partitura di Piero Piccioni, il dramma politico ha inizio. Quindi il cerchio si chiude, la fotocamera abbandona la camera di consiglio comunale alla fine di una tumultuosa seduta in cui De Vita ha usato parole pesanti di accusa e denuncia. Inutile lotta. Eminenza reverendissima, eccellenze, onorevoli e quant’altro affollano l’ultima scena, stessa location dell’inizio, ma ora si ascolta il discorso del nuovo sindaco e si benedice la prima pietra del nuovo quartiere. Le stesse riprese aeree ad alta quota, rumore di macchine impastatrici in movimento.

Il cemento ha vinto.

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