L’esperienza di Valentine Cadic come attrice è all’origine dell’incontro con Blandine Madec, la protagonista del suo primo lungometraggio. Già coinvolta nel corto della regista francese intitolato Les grandes vacances, anche in questo caso mantiene il suo nome nella finzione e rivive lo stesso impatto tra aspirazioni e realtà collettiva. Entrambe le Blandine provengono da esperienze di solitudine e cercano invano di prolungarne i vantaggi in un ambiente di massa.
Nel cortometraggio una serie di incidenti di percorso impediscono alla ragazza di raggiungere i monti, costringendola ad un soggiorno nel bel mezzo di un campeggio invaso dai turisti. In Le Rendez-vous de l’été, il tempo delle vacanze è sempre al centro, ma nello spazio globale della metropoli, dove i processi di turistificazione si frappongono tra i Giochi olimpici di Parigi del 2024 e il desiderio di Blandine di assistere alle competizioni che preferisce.
In entrambi i casi, la gestione del proprio piacere viene sabotata da una serie di ostacoli funzionali, relazionali e sociali, che isolano il personaggio in una dimensione sempre più incomunicante, descritta dallo sguardo di Cadic in quel crocevia tra cinema del reale e commedia dei contrasti.
Quell’insieme di bozzetti che introducono una Parigi osservata in campo lungo dalle lenti dell’iperturismo, è osservazione raggelata sulla superficie pop della città, dove il corpo di Blandine viene filmato sin dalle prime immagini come un’eccedenza.
Mentre si trascina tra indolenza e fastidio con uno zaino enorme sulle spalle, come se provenisse direttamente dal corto del 2022, inciampa nell’organizzazione dello spazio collettivo, filmato con intenzioni che ricordano la Tativille del futuro immaginata nel 1967. I grandi flussi turistici, il sistema ad orologeria degli ingressi, le norme tecnocratiche di sicurezza, ostacolano ogni possibilità di accesso nell’area dove si svolgono i giochi, tanto da limitare l’esperienza di Blandine ad una fruizione filtrata dai grandi schermi e dal sovraffollamento.
Qui si innesta il ricongiungimento con una sorella persa di vista e la possibilità di conoscere la nipote mai incontrata. Una priorità che sembra incidentale e secondaria per Blandine, il cui programma mette al centro i giochi olimpici, ma che diventerà centrale in questa inattesa esperienza estiva, tanto da spostare ai margini tutto il resto.
Il detournament di priorità e desideri nello spazio della condivisione sociale fa di Le Rendez-vous de l’été, lo sviluppo ulteriore de Les grandes vacances, non solo per l’attenzione alla morfologia di un ambiente collettivo, descritto nel pieno della saturazione mercatista del tempo libero, ma per il modo in cui l’esperienza individuale si infrange con l’omologazione dei desideri, nell’impossibilità di accordare i propri tempi a quelli del consumo.
Questo è l’innesco di una drammaturgia specifica per Cadic, dove i gesti alieni e rallentati di Blandine Madec improvvisamente si incrociano con quelli di altre individualità. Emerge allora il confronto tra più solitudini e la totale impossibilità di uscire da questo isolamento. Blandine e la sorella non si ascoltano né riescono a trovare un vero e proprio spazio di condivisione. Ogni possibilità di contatto per la ragazza avviene per lo slittamento di tempo e occasioni, vera e propria desincronizzazione tra obiettivi e gesti.
Della piscina olimpionica e dell’atleta queer per cui si è recata a Parigi vedrà solo immagini distanti. La prima grazie ad un ingresso notturno e clandestino, agevolato dal gentile custode, il secondo nel fugace saluto strappato durante una vera e propria apparizione lungo la Senna, unica epifania di tutta la vacanza.
Anche il dialogo con il giovane custode, concentrato nell’arco di un paio di notti, non riesce a intaccare il desiderio di solitudine di Blandine.
I colori saturi degli ambienti olimpionici, la capacità di esacerbare la documentazione fino a rilevarne il lato grottesco e umoristico, l’attenzione all’eccedenza dei corpi e all’incapacità dei personaggi di adattarsi ai tempi di una collettività individualista, confermano l’interesse di Valentine Cedic per la fotografia di Martin Parr, riferimento già esplicitato in Les grandes vacances e che nel suo primo lungometraggio torna ad essere centrale per lo spirito di osservazione che attraversa il suo film.
Rispetto agli scatti folgoranti del fotografo britannico, capaci di scoprire lo straordinario nella quotidianità più massificata, Cedic trova una sua strada proprio nell’inceppo del corpo entro uno spaziotempo ostile e senza la predisposizione all’accoglienza. La interseca solo in parte con quella di Mariette Désert, con cui scrive a quattro mani la sceneggiatura del film, al quale infonde in alcuni momenti la qualità di suoi racconti di formazione, sospesi tra la suburbia francese e ricongiungimenti famigliari impossibili. Dopo le premesse annunciate da una manciata di cortometraggi, quello di Valentine Cadic rimane comunque un cinema fatto di gesti mancati e comunicazioni interrotte, quasi fosse una riflessione a margine sull’impatto che le forme di isolamento più recenti, hanno avuto sui desideri e le possibilità di interazione sociale.
Senza teorizzare, affida la riflessione allo scontro di situazioni, orchestrate con il lessico del documentario e con la predisposizione all’improvvisazione motoria e dialogica sei suoi interpreti.
Ne viene fuori un quadro commovente e allo stesso tempo, malinconico, sulla sconnessione tra parola e intenzione, corpo e spazio, desiderio e realtà.
In quell’immagine senza anima viva all’orizzonte che infine contrappone Blandine all’oceano, c’è tutta la semplicità e la complessità della rivelazione possibile insita in un’altra temporalità.