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L’Esorcista – Il Credente di David Gordon Green: recensione

L'esorcista - il credente di David Gordon Green, film di imbarazzante fiacchezza, nelle sale italiane. La recensione

La sindrome dello scolaro non abbandona David Gordon Green. Nella trilogia di Halloween, la produzione Carpenter/Curtis aveva agito positivamente consentendogli di muoversi con sicurezza tra spirito di emulazione, sguardo politico e capacità combinatorie elaborate al meglio nel terzo capitolo del franchise. Rigore e asciuttezza sono un vago ricordo ne “L’Esorcista – Il Credente“, proprio a causa di un’estetica del campionamento che neutralizza ogni buona intenzione, reale o apparente che sia.

Il tentativo evidente è quello di far reagire la superficie del film di William Friedkin per rovesciarne gli esiti, secondo alcune traiettorie critiche elaborate dal 1973 fino ad oggi.

Tra dialoghi e immagini frequentative ricalcate e riproposte nella forma del contrappunto o del bombardamento sensoriale, confluiscono altri elementi, tra cui la diatriba Friedkin/Blatty che aveva dato vita alla versione riveduta e corretta, tutt’ora riproposta nelle sale dalla Warner e la cui origine deve essere attribuita ai desideri dello scrittore newyorchese, non certo all’esigenza di realizzare una versione director’s cut tout court.

Ciò che per Friedkin era ridondante e superfluo, tanto da depotenziare la forza e la complessità epistemica del film, confluisce nel film di Green come spiegazione a margine sul ruolo del male nella vita quotidiana. Intorno a questo elemento, affidato al personaggio di Ann Dowd, suora mancata costretta ad abortire e alla sua relazione con la fede fuori dal solco delle istituzioni, si aggregano una serie di possibilità sincretiche che procedono dalla ritualità haitiana, sfiorano le religioni riformate e approdano all’approccio conflittuale e mai riconciliato del padre di una delle due ragazzine possedute, agnostico dichiarato.

Alla chiesa cattolica Green torce il collo, anche in termini direttamente figurativi, assegnando ai suoi funzionari il ruolo che nel film di Friedkin spettava alla scienza e ne rileva più di una volta l’inefficacia, negando il valore apotropaico del crocifisso.

Al di fuori di questa simmetria che colloca su fronti opposti canone religioso ed eretici, destinando proprio a questi il compito di interpretare la presenza del male, cosa significhi per Green e quali segni lasci nel mondo è arduo da dire.

Oltre ad una mucca morta per avvelenamento vicina al luogo del ritrovamento delle giovani scomparse, quasi un residuo del cinema rural-progressista del nostro e alla stucchevole quota black che manda all’inferno la ragazzina wasp non ancora battezzata, per salvare quella afroamericana protetta da una benedizione voodoo, il film subisce l’urto dell’ipertrofia citazionista con l’illusione che la delocalizzazione dei segni possa produrre arricchimento del senso. Tutto riconduce verso la superficie, dal calco di alcune battute ormai entrate in circolo nei giochini social del culto cinefilo fino al lettering dei titoli, senza trascurare il solito frammento di Tubular Bells riletto in versione orchestrale.

Sono inefficaci strizzatine d’occhio che si mangiano un film privo di sguardo e visione, tanto da accecare l’unica possibilità di elaborare un testo radicato nel presente, o al contrario, che gli si oppone con forza come accadeva in Liberaci dal Male di Scott Derrickson, film complesso e stratificato che tra le altre cose, sapeva rileggere il motto di spirito e la dolente ironia della scrittura Blattyana.

Green ci prova a rielaborare temi e stimoli in forma combinatoria, allestendo un teatrino plurale, dimenticandosi del film di Boorman, uno dei più ambiziosi e visionari degli anni settanta, da cui in parte prende truffaldinamente le mosse e che cita di striscio con un paio di sequenze, tra cui quella dell’esorcismo, dove la sovrapposizione cardiaca dei rilevatori digitali ricorda un’altra splendida sovrimpressione diasto-sistolica.

Ma soprattutto, Chris e Regan McNeil avrebbero potuto essere l’obiettivo di un altro esorcismo, quello utile per alleggerire il peso ereditario di tutti quei segni che le imprigionano in uno spazio mitopoietico senza alcuna possibilità di evoluzione. Green colloca fuori campo una relazione interrotta proprio a causa dell’irrepetibilità di quell’evento diventato di dominio pubblico. Ma quel gesto improvviso di tenerezza che chiude il film, forse l’unico momento di cinema che vale la metà del caro prezzo pagato in un Cineplex, risuona in modo sin troppo didascalico con le parole di Ann sulla disperazione e l’infelicità come nutrimento principale del male, così vicine al dialogo sulle scale tra Merrin e Karras, quello che Friedkin non avrebbe mai voluto nel suo film, implicita battaglia del “male contro il male”.

L’Esorcista – il credente di David Gordon Green (USA 2023, 121 min)
Interpreti: Leslie Odom Jr., Ann Dowd, Jennifer Nettles, Norbert Leo Butz. «continua Lidya Jewett, Olivia O’Neill, Ellen Burstyn, Raphael Sbarge, E.J. Bonilla, Linda Boston, Okwui Okpokwasili, Richard Carr III
Sceneggiatura: David Gordon Green, Peter Sattler, Scott Teems
Fotografia: Michael Simmonds

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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