[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#efa510″ class=”” size=””]Due lunghe ed intense ore di film ci portano in una foresta perduta in qualche angolo della Francia del XVIII secolo. Nell’oscurità della notte, alcuni libertini danno sfogo ai loro istinti più reconditi. Tra violenze sessuali e torture, il nuovo film di Albert Serra ci propone un viaggio buio e turbolento che colloca la crudeltà degli atti al centro della narrazione. Un viaggio tra De Sade. Apollinaire, Bataille e ciò che resta del desiderio.[/perfectpullquote]
Un dialogo macabro attraversa le ultime luci del crepuscolo. La notte si appresta a regnare sovrana. Entro i confini di una foresta isolata dal resto della civiltà, alcuni personaggi esiliati dalla corte francese vagano senza una meta, spinti dai loro istinti più basici e dai loro desideri più inconfessabili.
Sono forti le immagini e le scelte del catalano Albert Serra per il suo nuovo film. Lunghe sequenze in cui le figure si intravedono appena, quasi come fossero fantasmi nella fitta vegetazione. Lo stesso accade per le numerose scene di violenza, a volte soltanto suggerita, in altri casi fortemente esplicita. Ad aggiungere tensione, la lentezza di un montaggio contemplativo che sottolinea il realismo, la crudezza delle immagini e i colori lividi filmati da Artur Tort, sodale collaboratore di Serra.
Erranti senza meta i personaggi sono avvolti da un mistero che li colloca nella dimensione occupata dalle ombre della notte. Nell’espressione dei desideri più nascosti sembra dischiudersi un doppio significato: una rivendicazione del loro passato come libertini e il motore pulsionale che alimenta il film stesso. A fare da cornice ci sono i suoni della natura e i suoi rumori notturni, ma anche i soundscapes di un’inquietante drone music che alimenta esponenzialmente il senso di irrisolta tensione.
Al di là della dimensione esplicita dell’immagine, l’atto sessuale viene mostrato a partire dall’impossibilità e dalla negazione dello stesso, condanna perenne che colloca i personaggi in una dimensione di continua ricerca del desiderio, quasi che lo strumento sessuale, possibilità di riscatto di classe, coincida anche con l’annichilimento di qualsiasi rivolta, nello scambio simbolico tra borghesia, popolo e potere.
Per chi si è lamentato del fattore durata, è bene chiarire che il lavoro di Serra, tra cinema, teatro e installazioni concettuali, è votato da sempre all’immersività estenuante. Libertè in particolare, viene dopo “Histoire De Ma Mort”, “The Death of Louis XIV” e “Roi Soleil” ed è tratto da una piece teatrale non convenzionale che Serra ha messo in scena nel 2018 al teatro berlinese di Volksbühne. In quel contesto, la scena non si presentava così diversa dai modi del suo cinema. Come nel film, il lavoro teatrale, segue un gruppo di aristocratici esiliati dal regno puritano di Luigi XVI, nel tentativo di esportare in Prussia la propria filosofia libertina. Il nuovo punto di riferimento è legato al Duca de Walchen, interpretato da Helmut Berger, icona molto precisa anche in relazione alla superficie di certo cinema sexploitation, che Serra irride con una distanza che non si serve del filtro ironico.
Questo consente al regista Catalano di riflettere sul desiderio e la decadenza in termini filosofici, morali e politici. La disposizione dei corpi nell’ampio spazio del teatro berlinese è la stessa che costituisce la concezione dell’inquadratura, sospesa tra il naturalismo silvestre di Jean-Antoine Watteau e una sua traduzione più oscura e crepuscolare. Opera di ampia lettura quella di Serra, dove sesso e potere trovano una dimensione espansa, ma allo stesso tempo negano il tempo della durata mostrandoci i corpi e il desiderio come gabbie da cui è impossibile uscire, se non per disperata coazione a ripetere.