giovedì, Novembre 21, 2024

L’ingrediente segreto di Gjorce Stavreski: recensione

Vincitore del 36° Bergamo Film Meeting, da sempre crocevia di tendenze europee contemporanee, e quindi, come vuole l’equazione, nelle sale senza particolare risonanza, L’ingrediente segreto dell’esordiente al lungometraggio macedone Gjorce Stavreski corre tra i più vari registri e intenti, sbilanciandosi verso una placida ironia che corregge gli eccessi e smorza le ridondanze, al contempo struttura portante e chiave di lettura del film.
L’assurdo è già tutto nella prima sequenza: una chiavetta usb immersa in un bicchiere d’acqua sarebbe il rimedio al cancro del padre di Vele, se questo si convincesse ad acquistarlo da un guaritore dai presunti poteri miracolosi. Ad accompagnare Vele da lui c’è il collega Dzhem, ben più che spalla comica, contraltare cinico a una fede cieca perché disperata e di contro idealista di fronte alle brutture della vita quotidiana, premessa al nucleo tematico dell’amicizia leale e disinteressata che regge a ogni tipo di crisi, personale o economica che sia. In un microuniverso in cui il paradosso è sia deriva del reale sia unica forma di resistenza possibile, non stupisce che un operaio di bassa estrazione sia anche cinefilo: se l’acqua ha memoria, il santone 2.0 è allora di sicuro il prodotto della scrittura di Nolan, legittima figurina di Inception.

A Skopje, dove “la gente muore per niente, non siamo mica in Svezia” e il costo dei medicinali non coperti da assicurazione aumenta di giorno in giorno, sono però in pochi non tanto ad avere gli strumenti o ad essere sufficientemente savi per comprenderlo, quanto, all’opposto, a risultare fulminati abbastanza da riservarsi la facoltà di scegliere, oltre ogni speranza, a cosa (non) credere.
Se poi è il destino che fa trovare a Vele, occupato in una rimessa di convogli ferroviari e non stipendiato da quattro mesi, un pacchetto di droghe varie “perduto” da trafficanti su un vagone, è quello stesso destino a giocargli uno strano scherzo: quando con la marijuana di cui è venuto in possesso cucina torte capaci di rimettere al mondo il padre, al seguito non si ritrova soltanto i “legittimi proprietari” degli stupefacenti ma anche la stessa orda di persone intercettata all’inizio, ora pronta a venerare un nuovo taumaturgo che possa divulgare ricette di pronta guarigione.

Dietro ai reumatismi, al diabete, all’omosessualità (“mio nipote è gay, può curarlo?”) si fa evidente un cancro collettivo di portata maggiore, come dietro al cancro del vecchio (un ottimo Anastas Tanovski) prolificano metastasi di altra natura, lutti mai elaborati che si compiacciono della malattia e gettano spettri di morte tutt’intorno.

La stravaganza del soggetto, originale e rocambolesco, avvalora pertanto un intreccio di linee altrimenti convenzionali che, tra critica sociale e dramma familiare, agiscono a fasi alterne, ispessendo a loro volta l’idea di superficie o stemperando nel superfluo una leggerezza che basterebbe a se stessa per colpire altrettanto a fondo, dove Stavreski arriva in ogni caso, nonostante la pochezza dei mezzi, attraverso una regia sicura, ritmica, inventiva, dalle soluzioni palesi ma mai invadenti, in un tentativo di amalgama forte tra post classicità e autorialità.

Veronica Canalini
Veronica Canalini
Critica Cinematografica iscritta al SNCCI. Si anche classificata al secondo posto al concorso di critica cinematografica “Genere femminile: quando le donne criticano il cinema” indetto da Artemedia, oltre a scrivere di Cinema per Indie-eye, si è occupata di critica letteraria per il Corriere del Conero.

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