giovedì, Dicembre 19, 2024

L’ouragan F.Y.T. di Ara Ball: recensione

Il primo lungometraggio di Ara Ball presentato al Festival du Nouveau Cinéma Montréal aderisce al linguaggio furente del cinema punk, aggiornandone il lessico con un umorismo prettamente visuale, ma anche con una carrellata di volti e corpi disperati, mentre cercano di salvarsi la vita. La recensione di L'ouragan F.Y.T.

L’acronimo F.Y.T. è un insulto rafforzato. Oltre al classico “Fuck You” include anche la parola Tabarnak, una delle più note “bestemmie” diffuse nel Canada francese, nate come modifica delle formule liturgiche attraverso la distorsione fonetica. In una regione dove l’influenza del cattolicesimo è stata pervasiva fino a tutti gli anni sessanta, parole come criss, simonaque e viarge rientrano nell’uso popolare comune. La stessa Tabarnak deriva da “Tabernacle” e insieme all’insulto rafforza il senso di rabbia e rivolta.
Nel primo lungometraggio di Ara Ball assume la forza invettiva di un grido di battaglia, legato alle attitudini punk del giovane protagonista.

Delphis ha appena undici anni, vive in una famiglia disfunzionale con un padre violento e una madre dipendente dai paradisi psicotropi, utili per fuggire dall’inferno quotidiano.
Laido, maleducato e alieno rispetto ad un contesto scolastico perfettamente asettico, mentre assiste alle intemperanze del padre in qualsiasi contesto sociale e ai giochi sessuali di entrambi i genitori consumati a porte aperte, assorbe un potenziale anarchico completamente disatteso dalla microsocietà educativa in cui vive.

Bullizzato dai compagni ed emarginato dagli insegnanti per comportamento non conforme, fugge da tutti per inserirsi nella comune gestita da Ben, filantropo della strada con la missione di salvare ragazzi allo sbando e offrire loro una nuova consapevolezza fuori dalla logica delle famiglie nucleari, con l’anarchia nel cuore, la musica punk nelle orecchie e il modello razionale dei centri sociali nella mente.

Con questi presupposti e sulla sceneggiatura condivisa insieme a Tania Duguay, attrice televisiva e principalmente responsabile del casting per una serie di progetti, tra cui Le Plongeur di Francis Leclerc, Ara Ball aderisce al linguaggio furente del cinema punk, aggiornandone il lessico con un umorismo prettamente visuale, che tende ad esaltare la relazione grottesca dei corpi rispetto all’ambiente, spesso eccedenti e fuori norma.
Vira improvvisamente il film dal colore al bianco e nero, proprio per scolpire nei contrasti monocromatici i volti, le loro espressioni e l’impatto volumetrico. La scelta avvicina il film alle inchiostrazioni del fumetto, tanto da prelevare il rimario e alcuni segni proprio da quel mondo.

Ara Ball sviluppa un suo vecchio cortometraggio del 2013 dallo stesso titolo, mantenendo solamente alcuni aspetti, tra cui una commistione tra graphic novel e documentario, dove emerge la poetica disperata delle zone suburbane di Montréal nei primi anni novanta, l’insistito umorismo nero e i continui indirizzamenti in macchina, molto simili alla decostruzione dell’immagine realista che era alla base di C’est arrivé près de chez vous, il film diretto nel 1982 da Benoît Poelvoorde, Rémy Belvaux e André Bonzel. Sceglieva per l’occasione il 16mm del cinema documentario, elaborando quindi allo stesso tempo una vicinanza organica ai corpi e una distanza nostalgica dello sguardo rispetto alle mutazioni del cinema del reale.

Lo spirito di fondo rimane quello, così come la caratterizzazione del contesto famigliare e scolastico dove cresce il ragazzo, intriso di disperazione e tenerezza. Viene aggiunto il percorso di formazione nella comune e ridotto il pessimismo estremo.

Delphine si fa riconoscere con il simbolo di una saetta e il nuovo nome de L’Ouragane. A questo associa una furia devastante che indirizza al vivere sociale comune e all’istituto famigliare.

Nel nuovo contesto, un mondo sotterraneo nascosto in superficie dall’officina di ciclomotori di Ben, può finalmente avviare un percorso di formazione e definire una serie di tappe che gli consentano il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

Ambientato come il corto all’inizio degli anni novanta, recupera lo spirito di quegli anni e rispetto al cinema québécois più recente, sembra al contrario guardare a quello contaminato con il videoclip del primo Villeneuve (Le Technetium, in particolare) e di altri cineasti, assumendone spesso i punti di vista arditi, la caratterizzazione estrema dei personaggi e un ipercinetismo che occupa quel crocevia tra la performance fisica e le forme “du look” del cinema francofono di quarant’anni fa.

All’interno di questa cornice, Ara Ball si ritaglia uno sguardo personale che non viene trasceso dai riferimenti estetici. Ed è rintracciabile soprattutto nei volti e nelle azioni oltre il limite di un gruppo di personaggi disperati, mentre abitano i confini del disagio sociale con irresistibile estremizzazione slapstick. Il girare a vuoto, l’incepparsi del meccanismo, la ripetizione degli stessi errori e soprattutto il contrasto con tutte le istituzioni sociali che rendono il vivere comune una vera e propria macchina celibe, fa coincidere la gag con una dolente immagine dell’abbandono.

Sulle figure genitoriali di Delphine, i due autori scrivono momenti che trascolorano dal gioco, all’orrore della violenza domestica, fino alla perdita di tutte le coordinate razionali.
Merito anche dei volti e dei corpi di Patrice Dubois e Larissa Corriveau, il primo sempre sul crinale dell’esplosione distruttiva, mentre l’attrice e regista canadese, regala una performance sonnambolica, attraversata da un’erotismo deragliante e da un costante senso di inadeguatezza rispetto al reale.
Memorabile la sequenza in cui smonta un quadretto con l’effige del Cristo e l’appende alla parete per prenderla a pugni, ma anche altre deambulazioni a vuoto nello spazio di una casa invivibile dove non c’è alcuna possibilità di rappresentare la propria identità, se non attraverso il delirio e la deriva.

In questo teatro di relazioni devastate emerge la furia adolescenziale di Justin Labelle, qui impegnato nel suo primo ruolo di rilievo. Ara Ball insiste sull’estremizzazione dei tratti somatici, l’abbigliamento da outsider, la relazione conflittuale con capelli e tatuaggi, per decostruire tutta la “coolness” che può riferirsi anche all’estetica punk, puntando sull’immagine niente affatto seduttiva della disintegrazione sociale.
Allo stesso tempo privilegia la forza del gioco collettivo, anche in termini strettamente cinematografici, sostituendo con l’invenzione e la libertà, le istanze più nichiliste.

Il risultato è un film bizzarro e vitalistico, che cerca una dimensione sottilmente fantastica, radicata anche nella memoria di quel cinema prodotto tra gli anni ottanta e i novanta, per sbarazzarsi delle forme più distruttive connesse all’emarginazione sociale. Intento chiarissimo sin dalle prime immagini, dove la realtà derelitta attraversata da Delphine è costituita dall’abuso, il degrado, la sopraffazione e una suburbia che non ha altro da offrire.
Persino l’attento e capillare lavoro sui suoni, bilanciato dal sound design di Luc Raymond e la colonna sonora di Julien Mineau, imposta una tensione elettrica sin dai titoli di testa, per trainarla fino in fondo.

Non è semplicemente la colonna sonora strettamente punk, costituita da brani di The Exploited, Descendents e altri episodi meno noti del punk legato al Canada francofono, ma il modo in cui la selezione emerge oppure esplode da un tappeto sonoro sempre presente, che imposta una disturbante atmosfera di minaccia lungo tutto il film.

Presto per dire quale direzione potrebbe prendere il cinema di Ara Ball, ma L’Ouragane F.Y.T. brulica di un’umanità non riconciliata con lo spazio sociale e quello dell’immagine contemporanea, che merita attenzione.

L’ouragan F.Y.T. di Ara Ball (Canada 2023, 110 min)
Sceneggiatura: Ara Ball e Tania Duguay-Castilloux
Interpreti: Justin LabelleNico RacicotLarissa CorriveauJoanie GuérinAntoine Olivier PilonGabrielle B. ThuotDavid GiguèreMargot BlondinÉmile SchneiderPatrice Dubois
Fotografia: Ian Lagarde
Montaggio: Ara Ball
Musica: Julien Mineau

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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