Home covercinema Lucca Film Festival 2020, concorso cortometraggi: terza giornata

Lucca Film Festival 2020, concorso cortometraggi: terza giornata

Terra, identità, resilienza. Tra luogo e non luogo, i sei bellissimi corti italiani del Lucca Film Festival, nella terza giornata del concorso cortometraggi curato da Rachele Pollastrini

Dopo aver prodotto il debutto dei Grateful Dead, Dave Hassinger, parte dello staff Warner, fu chiamato a lavorare all’album successivo della band acid rock. Anthem of the sun nasceva con presupposti più sperimentali e Weir era alla ricerca di un suono che non riusciva ancora a codificare in termini lessicali. Quando chiede ad Hassinger di riprodurre “The sound of Thick air“, il produttore californiano che aveva scoperto gli Electric Prunes, si incazza e lascia i Dead al loro destino. L’approccio di ricerca della band non lo convinceva e Weir, da parte sua, non sapeva esprimere compiutamente quello che cercava. Quel suono, probabilmente più vicino al rumore bianco o al ronzio tra natura e acufene in una torrida giornata d’estate, definiva l’idea di densità. Stefano Miraglia con il suo “Thick air” parte da questa “leggenda” per assegnare un propellente al suo personale archivio audiovisivo, frutto di passione e lavoro intorno alla musica e costituito da riprese accidentali, appassionate, semiclandestine oppure complici. I corpi, spesso irriconoscibili, sono quelli di Thurston Moore, Roscoe Mitchell e del duo Nicholas Wood e Kat Day, noti come KVB. I suoni, spesso disgiunti o slegati dall’intensità stessa della performance, ne creano una alternativa, che probabilmente risiede in quello spazio vuoto che aveva spazientito il produttore dei Grateful Dead. La tensione, tra impro e attitudine punk, si verifica nella prossimità ai corpi, nella colorimetria di una fotografia fortemente granulosa, nel non luogo che risiede tra silenzio e feedback. Ecco che Miraglia, suona letteralmente le immagini, le ricombina in un dialogo tra gesto potenziale e quell’energia tensiva che si crea prima dell’esplosione di un cluster o di uno scontro fisico con lo strumento. A un certo punto, dal palco alla strada fino ad un appartamento congelato nel tempo, il luogo diventa quello ricombinato della memoria, grande partitura del possibile.

Thick Air

Nel Q&A moderato da Rachele Pollastrini dopo la proiezione della terza giornata dedicata al concorso cortometraggi del Lucca Film Festival 2020, la curatrice ha chiesto al regista Tommaso Santambrogio se la dimensione di felicità interiore raccontata da Edith per descrivere l’incessante pioggia cubana, fosse lo spirito che in qualche modo ha animato la lavorazione di “The Oceans are the real continents“, nonostante il senso di perdita che attraversa tutto il film. Nell’immagine consueta di Cuba, ha spiegato Santambrogio, i colori e la gioia sono gli elementi descrittivi più battuti. Manca invece quel senso di separazione che è connaturato in chi la vive e l’ha vissuta pienamente. Uscire da Cuba, ha aggiunto il regista, è stato molto difficile fino ad un certo punto, aspetto che ha reso la separazione dalla città un’azione complessa anche in termini interiori. “Mi interessava mostrare questo senso doloroso di separazione e allo stesso tempo raccontare come viene affrontato dalla gente comune, capace di mantenere un livello di energia positiva“. Prodotto da Lav Diaz e Gianluca Arcopinto, “The Oceans are the real continents” si muove nelle aree residuali della città, definendo la rovina come spazio comunque mappabile dal contributo qualitativo della memoria. Spazi di una città che potrebbe esser popolata da fantasmi, ma che vive attraverso il ricordo attivo capace di riempire lo schermo bianco di un cinema in stato di abbandono. La sovrimpressione è temporale e si compie tra la storia della coppia protagonista, quella della città e la visione condivisa e ricordata di “Clandestinos”, il film di Fernando Pérez girato alla fine degli anni ottanta e dedicato alla resistenza rivoluzionaria al regime di Fulgencio Batista. Visto da entrambi più volte, gli affidano il ricordo di una città legata radicalmente alla ritualità collettiva. Nella contemplazione del tempo dall’infanzia all’età adulta, tra il viaggio negli spazi derealizzati della città e la sua rimessa nel cuore attraverso la memoria fotografica, emerge un frammento de “La luna e i falò” di Cesare Pavese, quello che in qualche modo definisce il tono del romanzo per lo scrittore piemontese. Riscoperta delle proprie radici nei dettagli impercettibili delle cose, anche quelle materiali e inerti, descritte con grande minutezza. Santambrogio compie un lavoro davvero sorprendente a livello fotografico, riuscendo a scandagliare la persistenza di luoghi così densi di temporalità. (l’immagine in copertina è un fotogramma di “The Oceans are the real continents”)

Andrò a ritroso della nostra corsa

Le molteplici attività di Mattia Biondi, tra distribuzione, produzione e ricerca, lo conducono sulla strada di un found footage contemplativo, dove il recupero di materiali perduti, cerca di individuare il non scritto delle immagini. La sequenza alfabetica recitata al contrario da una voce lontana, scandisce quella temporale, combinando una serie di blocchi visivi che procedono come un viaggio a ritroso.  In “Andrò a ritroso della nostra corsa” lo svelamento, rispetto alla tradizionale immagine on the road che procede verso l’orizzonte, rivela un passato invisibile fino a quel momento, come un’inesorabile avanzata verso il nero stesso dell’immagine. La memoria diventa allora una questione di scarti e dimenticanze. Tra già visto e vissuto c’è sempre la fuggevolezza dello sguardo periferico. Addestrati ad ignorare l’invisibile, possiamo finalmente riconoscerlo nel percorso di un nastro che riavvolgendosi in forma palindroma, non mostrerà mai due immagini che combaciano.

Anche gli uomini hanno fame

Resilienza. Il corto di Francesco Lorusso, Gabriele Licchelli e Andrea Settembrini la esamina nel rapporto diretto tra due lavoratori del Salento e il territorio. Quando la fuga da una delle zone più povere del paese rischia di spopolare la regione a cavallo tra gli anni sessanta e i settanta, Nardo fonda il bar Bielle nella sua Gagliano del Capo, piccolo centro a cui rimane fieramente attaccato. 
Tra i clienti di sempre, Mimmi, un uomo ormai anziano, pieno di quei segni marchiati a fuoco dal lavoro. Insieme agli uomini che hanno contribuito a costruire la galleria del San Gottardo tra il Canton Uri e il Canton Ticino, è assalito dai fantasmi di un periodo doloroso e crudele, dove il lavoro assume i tratti di una maledizione. Mentre Nardo ringrazia dio per i 45 anni dell’attività, sempre identica e presente per rendere un servizio alla comunità, Mimmi racconta un tempo balordo, la separazione dalle proprie radici e quelle ferite profonde che hanno contribuito, dall’esterno, a tenere in vita il luogo natale. Con “Anche gli uomini hanno fame” i tre autori sintetizzano 50 anni di vita migrante in una poetica del gesto minimo, tra testimonianza diretta, immagini di repertorio ricavate dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e gli 8mm girati dallo stesso Nardo negli anni sessanta. Nelle intenzioni degli autori, un processo opposto rispetto alla ricostruzione documentale. Slegate da necessità fattuali e storiche, quelle immagini diventano schegge di memoria, materia di un cinema di poesia che non nasconde le cicatrici tra diversi formati, ma al contrario le mostra per raccontarci il lavoro del tempo e quanto la sua inesorabilità sia in grado di mutare la percezione e la persistenza dei luoghi. 

Sublunary

La pietra è viva. it-Tieqa Żerqa, la Finestra Azzurra, monumento naturale maltese costituito da Globigerina calcarea. L’erosione del grande arco dovuta agli agenti atmosferici, ne ha sancito la lenta dissoluzione formale, fino al crollo del 2017. Mariangela Ciccarello e Philip Cartelli partono da qui per esplorare la natura porosa dell’isola, attraverso un’idea di Cinema concepita come permeazione continua da un elemento all’altro. Nel dialogo con un geologo, la giovane donna che ha scoperto gli strati nascosti della storia materiale di Malta, la Globigerina assume qualità vive e pulsanti: accoglie, è calda, si compenetra con l’elemento atmosferico ed è adatta al riposo. Le notizie dei 58 migranti a bordo dell’Aquarius gestita da Sos Mediteranée e Medicins sans frontiere, accolti nel 2018 da Joseph Muscat, si intersecano con la natura dell’isola, in una ricerca sensoriale che scorge nuove connessioni tra territorio e intervento umano, vita delle pietre e trasformazione sociale. In “Sublunary” tornano allora le allusioni alla ricerca antica degli atomisti, legata ad un mondo completamente poroso dove la pietra pomice era connessa con il sole e la manifestazione degli elementi, archetipo spirituale situato entro le sfere del mondo sublunare, lo stesso che Ciccarello / Cartelli individuano tra le rocce e le cave, filmate come se fossero la superficie di un pianeta sconosciuto.

Amal

Amal abita uno spazio transizionale, costituito da un luogo ai margini di un conflitto e le stanze della memoria, spalancate sul ricordo traumatico della moglie scomparsa. L’unico elemento stanziale è caratterizzato da un’auto in panne, abitazione in movimento, ma anche segno traumatico di un viaggio improvvisamente interrotto. La terra è quella del gioco, della relazione con l’infanzia, della creazione di un luogo possibile che si apra alla permeabilità dei confini. Prodotto dalla Makè film, già a sostegno dei precedenti lavori di Matteo Russo (“Amare Affondo” e “Tell me your name”) “Amal” è una regia condivisa con Antonio Buscema, che ha ottenuto il patrocinio di Unicef. Scritto insieme a Laura Gigliotti, cerca di elaborare la dimensione concreta e psichica vissuta in una zona di guerra, senza soluzione di continuità tra i due stati. L’attore Mahoamed Zouaoui attraversa questa dolorosa espiazione attraverso un processo di spossessamento e allo stesso tempo di riappropriazione delle proprie radici. Quale luogo, tra la terra dilaniata dall’orrore e gli indelebili segni della tradizione che ci portiamo dentro?

Exit mobile version