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Mallory di Helena Třeštíková – 56° Festival dei Popoli: la recensione

Helena Třeštíková prosegue con la ricerca dedicata alle persone che vivono ai margini della società, realizzando con Mallory uno dei film più sentiti della sua carriera, per vicinanza ed empatia. È un rapporto di complicità evidente quello che la documentarista Ceca stabilisce con i soggetti delle sue indagini, tanto che il documentario di osservazione perde la membrana di sicurezza che separa l’autore dalla realtà filmata, grazie ad uno scambio attivo tra vita e registrazione che diventa vero e proprio agente creativo del film stesso.

Mallory Neradova, in modo forse più proficuo che in Marcela, René e Katka, entra in relazione con la Třeštíková attraverso tre livelli di documentazione del reale; il primo è quello confessionale dell’intervista; il secondo e forse il più importante, interpreta gli stimoli, le richieste d’aiuto e gli inviti che la stessa Mallory rivolge all’autrice, consentendole di entrare nella sua vita; il terzo è il modo in cui la stessa Třeštíková si serve dei materiali in forma combinatoria, utilizzando memorie filmate, presa diretta e i messaggi conservati nella segreteria telefonica, come parti di un discorso che non antepone mai l’elaborazione degli elementi ad un progressivo avvicinamento alla verità.

Si ha infatti la sensazione che a condurre il film sia a un certo punto la grande forza di volontà di Mallory, il cui percorso è in fondo l’altra faccia di una dipendenza che la regista Ceca aveva avvicinato con lo stesso metodo “ostinato” in Katka, film realizzato cinque anni fa.

La visione chiusa, con i confini del reale rimodellati dalla droga, diventa una “bolla” osservata sul bordo, dove il confine tra l’interno e l’esterno assume la caratteristiche dolorose di uno stigma; vedersi improvvisamente visti e cominciare a percepire la relazione con il mondo come una lotta durissima tra l’idea di se stessi e il giudizio della comunità. Durante una delle numerose confessioni, Mallory lo dice chiaramente: “mentre la droga cancella qualsiasi preoccupazione rispetto allo sguardo degli altri, un ex drogato deve fare uno sforzo ulteriore per apparire più normale della norma, per cercarsi un lavoro e vivere tra la gente“; è una chiarissima immagine dell’abisso che preme su tutto il film, fin dalle prime immagini notturne girate su un ponte, che acquisiranno un senso quasi opposto nel descrivere il confine sottile tra vita e morte che Mallory vive in ogni momento.

La Třeštíková costruisce il racconto della donna frequentandola per più di tredici anni e seguendola nella parte centrale della sua vita condotta come homeless. Spostandosi da un parcheggio all’altro,  Mallory dorme dentro un’automobile con Vrata, il suo nuovo compagno, con il quale condivide una nuova rinascita, nella speranza di poter trovare un luogo più dignitoso dove abitare insieme a lui e al figlio, ospitato in un istituto di Opařany.

L’autrice ceca mantiene un rapporto di vicinanza estrema con la donna e lascia che siano le sue parole a costruire una connessione narrativa, rimanendo fuori dagli eventi più traumatici e dalle violenze subite, spesso documentate fugacemente attraverso alcune telefonate, il percorso a ritroso di Mallory mentre attraversa un appartamento ricco di oggetti e ricordi e la visita al cimitero sulla tomba dell’uomo amato, momento che la Třeštíková lascia intatto ricostruendone allo stesso tempo tutto l’impatto emotivo con un prodigioso lavoro sul tempo dell’immagine.

Ed è strettamente aderente ai gesti e alle parole della donna anche la rappresentazione del paese, dove lo stato sociale diventa soggetto assente, un muro di indifferenza burocratica che conduce Mallory alla conquista di una consapevolezza politica del tutto individuale. Da questo punto di vista la Třeštíková elabora un contrasto flagrante tra la presenza istituzionale e la forza dell’iniziativa privata mettendo sempre al centro la Neradova, perché se da una parte l’incontro sul Karlův most tra Mallory e l’attore Jiří Bartoška che la soccorre rimane fuori campo, come tutta la sua azione benefica nei confronti della donna; il governo di Praga viene rappresentato attraverso speranze disattese, un call center che rimanda i propri impegni e alla fine un manifesto elettorale che promuove l’attività di Bohumil Zoufalík, ex vicesindaco della città e adesso assessore allo sviluppo, sul quale Mallory verga il suo sdegno ma allo stesso tempo un vero e proprio manifesto di resistenza.

Tra il sogno di un custode illustre e l’incubo di uno stato di diritto completamente assente c’è la vita di Mallory e il cinema di Helena Třeštíková.

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