Louis Séguin torna alla forma mediometraggio superando la mezz’ora dopo Les ronds-points de l’hiver e Saint-Jacques Gay-Lussac, entrambi sulla soglia dei sessanta minuti. E ancora una volta racconta la generazione di nuove parentele, mai attese né binarie.
Marinaleda si riferisce al piccolo villaggio incorporato nel cuore dell’Andalusia, conosciuto per l’esperimento anti-mercatista di Sanchez Gordillo e della cooperativa che gestisce le terre, le abitazioni e il vivere comune, secondo principi di equa redistribuzione.
L’utopia comunista del luogo è la destinazione dei due inconsueti vampiri che Séguin descrive in medias res, mentre sul ciglio di una strada circondata da campi, cercano un passaggio per questa lontana meta che dovrebbe portarli dalla Francia alla Spagna.
La dimensione è quella del racconto morale e filosofico che caratterizza il cinema di Séguin, un approccio conversazionale che si aggancia al quotidiano e alla qualità contemplativa dell’ozio.
I non morti, ormai padroni del tempo e non viceversa, discettano sulla mancanza di fiducia della comunità, ormai diffidente anche rispetto ad una semplice richiesta come quella di due autostoppisti.
Si rimane sul crinale di una minaccia latente che non esplode mai, svelandoci intenzioni lontane dalle pulsioni distruttive e da tutta la letteratura di genere.
Un interesse che ha attraversato recentemente il cinema francofono e che ci ha regalato piccoli e intensi racconti di formazione con i film di Ariane Louis-Seize e Céline Rouzet.
Più riflessivo e maggiormente legato al concetto di perdita del tempo, nella casualità del vivere quotidiano, Marinaleda è un continuo innesco di occasioni che consentono di vivere oltre le regole e secondo i principi di una rivoluzione gentile.
Abbandonata l’aggressività predatoria della tradizione gotica, le due creature ingaggiano una sollecitazione dei principi umanisti, accogliendo il transito post-umano.
Mentre approfittano del sangue di una persona in fin di vita, vittima di un incidente improvviso sul solito ciglio, un’automobilista sopraggiungerà sul luogo dell’impatto, offrendosi di portare i due amici lordi di liquido ematico all’ospedale, per un primo equivoco che sostituisce la percezione del fiero pasto con delle potenziali ferite.
Per Lise la prospettiva cambia dopo una lunga conversazione in auto, tanto da accogliere i due vampiri nella grande casa fuori dal centro urbano e ricca di una pregiata collezione di vini.
Il vino, la doccia, i corpi nudi dei due ospiti, l’invadenza impudica di Lise, impostano la promiscua leggerezza del confronto, tanto da mostrarci un modello di convivialità perduto e un esistenzialismo inevitabile che si interroga sull’isolamento, l’impatto della quotidianità sulle proprie identità e la possibilità di sopravvivere ai piccoli e ai grandi traumi della vita.
Lise beve e offre vino, i due compari gustano il sangue versato da una bottiglia di plastica.
Lo scambio dei due nettari è una questione di volontà e di trasformazione identitaria.
Il confine è lo stesso individuato da Abel Ferrara, ma totalmente depotenziato dalla tensione tragica e nichilista.
Quindi è leggera anche la vampirizzazione di Lise, legata al profumo e al gusto della pelle e ad un erotismo che distrugge i legami, per costruire una permeabilità fluida tra generi.
Il raccontino morale, ad eccezione della penombra casalinga, è immerso in pieno sole e torna allo stesso durante l’epilogo già occupato dai titoli di coda.
Marinaleda è un’utopia svuotata, uno spazio bruciato dalla luce diurna, dove l’assenza di corpi filmata da Séguin individua un tempo sospeso e affrancato dall’affanno, dal denaro, ma anche dal lavoro.
I tre vampiri, uniti in un comune destino biologico per scelta, definiscono la sostanza del loro legame attraverso il gioco, l’ozio e una flanerie che elimina la meta, il futuro, l’età e incorpora la felicità come colore identitario, esattamente come in una vecchia canzone di Facundo Cabral.
Marinaleda di Louis Séguin (Francia 2022 . 51 min)
Sceneggiatura: Louis Séguin
Interpreti: Pauline BelleLuc Louis Séguin Rivière
Fotografia: Martin Rit
Montaggio: Léo Richard