Home covercinema Merry Christmas, Yiwu di Mladen Kovačević: recensione

Merry Christmas, Yiwu di Mladen Kovačević: recensione

"Merry Christmas, Yiwu" il doc. sul business natalizio in Cina

Yiwu, 300 km da Shanghai, il più grande ingrosso globale di beni di largo consumo. Tra questi, i prodotti destinati al mercato natalizio, escono da oltre 600 fabbriche, sfornando complessivamente più del 60% delle decorazioni vendute in tutto il mondo. Se si consultano con attenzione le categorie dedicate al Natale presenti su Alibaba.com, il colosso cinese di e-commerce globale, una delle più ricche è interamente dedicata agli accessori festivi prodotti a Yiwu.

I cappelli di Babbo Natale, gli alberi di plastica, le fibre ottiche attraversate da luci al Led, le palle colorate, i fiocchi di neve di polistirolo trattati con vernici artificiali e tutta la merce superflua destinata ai rituali celebrati dal capitalismo occidentale, impiega per dodici ore al giorno un numero altissimo di lavoratori provenienti dalle zone rurali, in cambio di 300 / 350 Euro al mese. Questo è il costo massimo della forza lavoro che può essere valutato dal connubio letale tra socialismo reale e le “irrinunciabili” partnership commerciali con la realpolitik internazionale.

Tra il 2016 e il 2017, l’ambasciatore cinese a Belgrado, ha lavorato per abolire la necessità dei visti d’ingresso tra Cina e Serbia, fino ad arrivare ad un protocollo d’intesa. Il regista Mladen Kovacevic ha potuto servirsi di questa possibilità per entrare a Yiwu senza particolari problemi, così da filmare la città e i suoi lavoratori con una prossimità necessaria. Si stabilisce quindi un rapporto di vicinanza e fiducia con i migranti che lavorano in alcune delle fabbriche destinate alla produzione di merce per le festività natalizie.

Merry Christmas, Yiwu” entra da subito nel cuore del processo produttivo con sguardo naturalistico, cercando nella routine e nel frammento osservazionale l’emergere di quel gesto che possa spezzare la perdita di significato rispetto alla globalità della macchina industriale. 

Perché nella ripetizione meccanica delle pratiche di assemblaggio dei materiali, manca totalmente l’arricchimento e la conoscenza di se attraverso il dominio e la relazione con la materia.  L’unico modo per stare al di là del lavoro stesso è nel sentimento della perdita che Kovacevic riesce ad evidenziare con la progressiva scomparsa di un mondo non più visibile, sopravvissuto nei racconti dei lavoranti, oppure incorporato nella cornice naturale che preme dai margini per fare da sfondo ad un canto nostalgico sull’equilibrio interrotto.

Se la sensibilità e il taglio scelto dal regista serbo si avvicinano al racconto sulla morfologia delle città cinesi, per come lo abbiamo visto nei film di alcuni autori della sesta generazione, è il contrasto tra l’imitazione artigianale e il desiderio a creare un’apertura inedita tra merce, luoghi e parola. La divisione in capitoli che traspone brevi frammenti di dialogo sul piano visuale, introduce spunti di riflessione come i residui di più storie individuali di cui si è persa la narrazione collettiva. Il legame con la tradizione o semplicemente il suo ricordo è allora l’unico che può resistere all’accumulo di oggetti e di segni prodotti dal mercato globalizzato. 

La nuvola di polvere rossa usata per la colorazione della neve in polistirolo, tinge in modo cruento l’ambiente di lavoro, collocando la persona in una posizione marginale, inghiottita dal processo chimico e da quello meccanico che ne esauriscono la finalità.

Mentre la parola può contrastare questo mostro autoctono di polveri e colla, nella descrizione di un amante perduto, della città natale lasciata alle spalle, di un ricongiungimento impossibile. Il dissidio è anche generazionale, ma attraversa mondi diversi con lo stesso senso di svuotamento dove la ricerca di uno scopo non può essere riempita né dal capitalismo né dal comunismo. 

Non è la busta con la paga o l’appartamento ancora da costruire con vista sulla fabbrica a condurre verso la libertà, né la possibilità di comprarsi il cibo al mercato pagando con We Chat. Sono invece i momenti in cui si verifica il distacco dalla dimensione artefatta del prodotto, vero e proprio “Shanzhai” culturale entrato nel circolo vizioso della proliferazione tra occidente e oriente.

Un falso culturale che attraverso la condanna alienante del lavoro, sancisce la perdita d’innocenza intesa come angoscia e sradicamento.

La danza del dragone di capodanno compare quasi da uno spazio fantasmatico e oscuro, un mostro proibito emerso da una dimensione onirica, per spazzare via l’artificio del Natale.
Per coincidenza di opposti, il ballo collettivo e quello individuale, guidati dai suoni e dalle canzoni della retorica di regime, liberano i corpi verso le tracce di una disciplina interiore. 

Ma è solo il perdersi nel guscio della natura che spazza via l’ipostasi del falso. La realtà consensuale della merce può allora dissolversi nel ricordo di cosa siamo stati, quando eravamo ancora capaci di amare. 

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#cc2b23″ class=”” size=””]”Merry Christmas, Yiwu” sarà programmato il 12 giugno in anteprima per l’Italia al 16/mo Biografilm Festival alle ore 17 in streaming gratuito.  Il film è stato presentato in anteprima mondiale al recente Göteborg Film Festival 2020 e all’ International Film Festival Rotterdam 2020 [/perfectpullquote]

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
Articolo precedenteRe-Animator di Stuart Gordon – la resurrezione della carne: la recensione
Articolo successivoBecause of My Body di Francesco Cannavà: recensione
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
merry-christmas-yiwu-di-mladen-kovacevic-recensioneTra il 2016 e il 2017, l'ambasciatore cinese a Belgrado, ha lavorato per abolire la necessità dei visti d'ingresso tra Cina e Serbia, fino ad arrivare ad un protocollo d'intesa. Il regista Mladen Kovacevic ha potuto servirsi di questa possibilità per entrare a Yiwu senza particolari problemi, così da filmare la città e i suoi lavoratori con una prossimità necessaria. Si stabilisce quindi un rapporto di vicinanza e fiducia con i migranti che lavorano in alcune delle fabbriche destinate alla produzione di merce per le festività natalizie.
Exit mobile version