Nella gloriosa storia di Radio Free Europe a contrasto di tutti i totalitarismi, quella circoscritta di Cornel Chiriac ricopre un ruolo fondamentale. Il giornalista, musicista e produttore rumeno aveva cominciato l’attività radiofonica nei primi anni sessanta e prodotto la sua trasmissione culto per Radio România a partire dal 1967. Metronom non era semplicemente un contenitore musicale dove si praticava la contaminazione della proposta internazionale con la promozione di artisti locali, perché intorno a questo materiale, riusciva a costruire una tessitura narrativa capace di interrogare il presente politico di un’intera regione geografica del mondo. Una certa idea di Europa trapelava dalle selezioni di Chiriac e diventava cibo irrinunciabile per le giovani generazioni. Se il regime di Nicolae Ceaușescu non partecipò all’invasione sovietica della Cecoslovacchia, la tolleranza nei confronti delle ardite analogie tra musica e politica che venivano trasmesse durante Metronom, erano destinate a durare poco. I Beatles di “Back in the U.S.S.R.” furono censurati e la trasmissione fu definitivamente sospesa nel 1969.
Chiriac, la cui attività di talent scout nel panorama delle rock band rumene era assolutamente peculiare, si rifugiò in Austria, venne in contatto con Noël Bernard, direttore di Radio Free Europe, e trasferì la sua attività radiofonica a Monaco, ripristinando Metronom fino alla sua morte, avvenuta nel 1975 in un parcheggio della città tedesca, dopo esser stato pugnalato brutalmente da un diciassettenne al soldo della Securitate, la polizia segreta della Repubblica Socialista della Romania.
La prospettiva rumena di Radio Free Europe era quella di una stazione ascoltata clandestinamente tra il rumore statico delle onde corte e il volume regolato al minimo. Un vento di libertà che soffiava nelle case dei civili, mentre questi affidavano sogni e speranza a quella ricezione difficile. Nel sistema orwelliano di Ceausescu che distorceva anche le relazioni famigliari, le produzioni di Chiriac catturavano i giovani rumeni nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ricoprendo un ruolo formativo essenziale.
Alexandru Belc, alla sua prima esperienza nel lungometraggio, continua ad osservare la storia sociale del suo paese, dopo due documentari legati all’esperienza del lavoro nella Romania post-comunista.
Metronom si concentra sugli effetti del lavoro radiofonico di Chiriac per RFE nei primi anni settanta, attraverso il quotidiano di un gruppo di studenti liceali, alla vigilia del diploma e delle scelte universitarie. Girato in 4/3 con la fotografia desaturata del già affermato Tudor Vladimir Panduru, segue il tormento amoroso di Ana, interpretata dall’esordiente Mara Bugarin, davvero notevole nell’incarnare i dubbi, le angosce e le contraddizioni di una diciassettenne negli anni bui della censura.
Belc segue le tracce di un racconto di formazione impossibile, dove i gesti comuni, la necessità di concretizzare i propri sogni e l’ascolto della musica come rituale individuale e collettivo, diventano segni di un’attività politica non ancora illuminata dalla coscienza. Nella relazione con la la famiglia, Ana sembra costretta a seguire le regole di un’adolescente di vent’anni prima. Il dovere e il rigore educativo, vengono contrapposti con modalità militari rispetto alle necessità affettive, alla conoscenza carnale e al collante della dimensione musicale che le trasmissioni di Chiriac investono di senso politico.
Ciò che anima le scelte di Ana e dei suoi compagni è l’essenza del gioco proibito. Se la ragazza ascolta con avidità alcune bobine registrate, dove Chiriac spiega il ruolo rivoluzionario dei Beatles, l’esperienza della festa condivisa in casa dell’amica, è un momento di scambio dionisiaco dove la musica e la relazione con il corpo diventa il centro catalizzatore di un’espressione naturale.
Il passaggio dal gioco al gesto politico subisce una codifica ulteriore quando la polizia securitaria viola il sogno privato di questi ragazzi, distruggendo lo spazio comunitario. Se la lettera indirizzata a Radio Free Europe indica un’evidenza, questa è nella frizione tra una playlist desiderata, il cui significato risiede nell’amore per la musica, rispetto al segno sovversivo intercettato dalle forze governative. Ad eccezione di brevissimi frammenti, la narrazione di Chiriac rimane sullo sfondo, mentre è la selezione musicale a parlare, dai Doors a Janis Joplin, fino a quelle band che hanno segnato la storia del rock rumeno tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta: Mircea Florian, con Cu pleoapa de argint che diventa il leitmotiv di tutto il film, i Chromatic, i Sideral Modal Quartet, gli Sfinx.
Belc segue semplicemente il disorientamento di Ana, delusa dall’ex fidanzato e fuori dall’area della festa, mentre vaga per una città notturna che sembra identica ad altre, ma che è già segnata dalla cultura del controllo. Il suo improvviso ripensamento, il ritorno sui suoi passi e il secondo ingresso nella casa dell’amica, impostano un’improvvisa rottura di quel velo apparente, disvelando segnali altrimenti opachi. Filmato in 35 mm, con ottiche degli anni settanta, Metronom economizza sui movimenti di macchina per creare nello spazio della condivisione quotidiana una drammaturgia dei corpi e dei gesti, affidando al personaggio di Ana la scoperta di un trauma personale che si sovrappone lentamente a quello di un’intera comunità. Nei nove minuti di “Light my fire”, lasciata integra nella sua durata, unifica lo spazio di un appartamento all’esperienza interiore della protagonista, evidenziando un metodo fortemente empirico che muta con il punto di vista e l’azione “pura”.
Senza ricorrere a strategie di violenza grafica, Belc racchiude l’effetto devastante della repressione nella descrizione dello spazio, nella claustrofobia dell’apparato statale, nella forma visuale di un interrogatorio che sovrappone l’immagine della scuola a quella di un regime militare. L’idea del crimine, come violazione delle leggi vigenti sulla sicurezza, investe di una luce sinistra il quotidiano, la normalità dei gesti, un vinile dei Led Zeppelin, la sostanza dei sentimenti, l’emergere della passione e quello della disillusione.
Ecco che il genoma del totalitarismo viene messo a fuoco dalla distorsione basilare dei rapporti interpersonali, il sistema della menzogna programmata che contamina le relazioni e inocula il germe del tradimento come educazione sistematica al sospetto.
Metronom è un film molto semplice e rigoroso nel porre al centro l’esperienza quotidiana e il terremoto interiore dell’educazione sentimentale. Ma non può essere inteso come un tradizionale racconto di formazione, perché affronta la scoperta e la meraviglia della trasformazione quando queste coincidono con la loro negazione. L’età adulta non è allora il risultato di un processo dinamico, ma un brusco risveglio, il personale che diventa politico per resistenza.
Metronom di Alexandru Belc (Romania – 2022, 102 min)
Interpreti: Mara Bugarin, Serban Lazarovici, Vlad Ivanov, Mihai Calin, Andreea Bibiri
Sceneggiatura: Alexandru Belc
Fotografia: Tudor Vladimir Panduru
Montaggio: Patricia Chelaru