Mike Flanagan, cresciuto in una famiglia dai forti principi cattolici, ha elaborato un immaginario crudo e allo stesso tempo simbolico, seguendo un tracciato comune a tutti coloro che sono stati forgiati in questo percorso formativo, per poi problematizzarne gli assunti.
Midnight Mass, la nuova serie ideata, scritta e diretta dal regista statunitense, è sicuramente il lavoro più vicino alla sua biografia personale e per certi versi consente di rileggere alcuni temi ricorrenti che attraversano tutta la sua opera tra cinema per le sale e serialità on demand.
Suggestionato sin dall’infanzia dal dogma della transustanziazione, rilegge il trauma della conversione da una sostanza all’altra con la vis polemica delle chiese riformate, non aggiungendo certamente niente di nuovo ad un dibattito che la teologia stessa ha più volte incendiato fino all’adozione di termini come transignificazione, per accentuare la dimensione spirituale del rito.
Flanagan al contrario rimane fermo all’infanzia, come accade sovente nel suo cinema ed elabora una fantasia macabra sulla stessa percezione che faceva discutere animatamente i giudei (Gv 6,52). L’idea che l’eucarestia sia assimilabile ad un atto di cannibalismo o di teofagia è quindi antica e ha radici culturali ben precise che vengono omesse non per disonestà, ma per accentuare il dramma che si verifica tra l’accesso personale alla dimensione spirituale e le modalità con cui la comunità può diventare espressione e veicolo di un potere che risucchia, annichilisce e risucchia.
Da una parte l’associazione tra vampirismo e quest’angelo del signore che si nutre del corpo e del sangue dei fedeli, in un’inversione completa del donarsi. Dall’altra una comunità di persone che deve affrontare il dolore e la difficoltà di vivere.
L’aspetto creaturale, affascinante quanto debolissimo nei momenti peggiori del cinema di Flanagan, aggiunge quasi sempre un surplus di significato alle immagini, deprivando la forza simbolica di possibilità più ampie e aperte. Era un problema che traghettava Somnia verso una stucchevole e scoperta dimensione metaforica e in questo senso, pur riconoscendo la forza di alcune sequenze, il vampiro di Midnight Mass è di troppo come lo era Mister Cancro.
Al di là delle riserve, Flanagan rimette in circolo la moltiplicazione del punto di vista che animava The Haunting of Hill House, per chi scrive la migliore delle sue produzioni seriali, capace di dare nuova luce alle stesse radici gotico-letterarie su cui si fondava.
I primi episodi della serie, prima ancora che padre Paul sveli il suo controverso patto di sangue, sviluppano una polifonia drammaturgica molto potente, capace di trattenere sul limite tra verità e menzogna la professione di fede di un’intera comunità, anche in relazione alla penetrazione esterna delle personalità eccedenti. Riley, figliol prodigo con un crimine alle spalle e un grosso problema di dipendenza, diventa uno degli attrattori per costruire un percorso di agnizione e scoperta che rimette in discussione l’origine stessa del senso di colpa, come motore che muove tutte le azioni.
Gli scarti percettivi e le frammentazioni oniriche che ci consentono di intuire le vicende legate al personaggio interpretato da Zach Gilford, mostrano tutto il talento di Flanagan nel costruire un cinema dell’apparenza con pochissimi elementi, distante dall’esibito fascino teorico di Oculus, ma proprio per questo più complesso e inafferrabile.
Non è un caso che affidi a due canzoni del primo Neil Diamond il dissinesco dell’idea di fede come relazione gerarchica, per ricondurla dalle parti di un sentimento terreno. Holy Holy in particolare, scritta nel 1969 dal cantautore americano, gli serve per applicare la forza combinatoria di un testo che già di per se sfuttava linguaggio e riferimenti sacri per depotenziarne lo slancio metafisico, riconducendo l’atto di fede alla dimensione concretamente umana del superamento.
Nello stesso modo in cui il brano di Diamond fu contestato per la dimensione antiapologetica e le modalità con cui raccontava l’altare dell’amore carnale, Flanagan inserisce il brano in un momento privato, offrendo una luce più intima al menage di una coppia, per un attimo fuori dall’occhio del controllo religioso organizzato.
Questa fede nell’individuo, stigmatizzata dalle religioni occidentali, inclusa quella Marxista, è invece la forza da cui attinge da sempre il cinema di Mike Flanagan, per liberare la psiche dai relitti di uno sguardo ideologizzato, capace di creare una metastasi effettiva.
E se pe buona parte della serie è capace di mantenere una vitale e necessaria ambiguità tra i volti e le azioni dei suoi personaggi, anche quelli irradiati da una luce oscura, oltre al vampiro in CGI, gli si può perdonare anche lo spiegone new age che cerca di chiudere il discorso.