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Mortal di André Øvredal: recensione

Mortal è il nuovo film di André Øvredal, dove Eric ha i poteri simili a quelli di un Dio. Vagabondo americano in terra norvegese, si trova al centro di eventi tragici, che affronta con i doni incredibili che possiede

Mortal è il nuovo film di André Øvredal, racconta di Eric, vagabondo americano in terra norvegese, interpretato da Nat Wolff. Una serie di vicende tragiche che lo coinvolgono, mostrano alle autorità locali i suoi incredibili poteri, vicini a quelli degli Dei della mitologia norrena.

Mortal, il film supereoistico di André Øvredal, visto al Trieste Science + Fiction Festival 2020

La Marvel ha creato un vero e proprio monopolio sul discorso supereroistico al cinema. E se persino un altro colosso come la DC fatica a trovare un proprio spazio, le difficoltà per progetti minori, magari nemmeno incastonati all’interno di un “universo narrativo”, diventano immani.

Difficoltà che non sono solo commerciali, come sicuramente si è reso conto M. Night Shyamalan.
Nel 2019 il suo Glass propose un’acuta riflessione sulla possibile percezione sociale dei supereroi nel mondo reale: non idoli da venerare ma mostri da emarginare. I tre protagonisti del film vanno incontro al destino di chi è diverso e in quanto tale percepito come un pericolo. È un ribaltamento di prospettiva che pubblico e critica non hanno saputo cogliere, portando il film a essere ampiamente sottostimato.

Nonostante l’insuccesso dell’esperimento di Shyamalan, André Øvredal con Mortal sembra voler continuare proprio da dove Glass si interrompeva, per poi deviare percorrendo una strada propria.

Eric vive nei boschi norvegesi, da solo, spaventato dai misteriosi poteri che possiede e di cui non ha controllo: sembra infatti capace di dominare gli elementi naturali. Arrestato per l’omicidio di un ragazzino, incontra una giovane psicologa decisa ad aiutarlo a scoprire le proprie origini, mentre il governo statunitense vorrebbe catturarlo per isolarlo e metterlo in sicurezza.

Øvredal ci presenta dunque un personaggio che per la sua eccezionalità è già, dalla prima scena, ai margini della società. Glass raccontava proprio il processo di emarginazione di figure estranee alla normalità, terminando nel momento in cui esse si rivelavano come supereroi e supervillain; Mortal parte invece da questo momento, per indagare l’impatto che un essere dai poteri sovraumani potrebbe avere sulla realtà quotidiana.

Alla paura dell’altro subentra la venerazione, quando l’altro dimostra la propria alterità non da uno specifico gruppo sociale ma dal genere umano. Non è però la venerazione giocosa di cui sono oggetto Capitan America e Iron Man, bensì una venerazione in tutto e per tutto religiosa: Eric deve scendere a patti con la propria divinità, e con lui tutte le persone che gli sono accanto.
Pur rifacendosi alla mitologia nordica, l’intero film assume anche i contorni di un’allegoria cristologica, talvolta molto esplicita.

L’assimilazione tra supereroe e Cristo non è nuova nel cinema, essendo tra l’altro la chiave della lettura di Superman fatta da Zack Snyder (Man of Steel, Batman v Superman: Dawn of Justice, Justice League), ma Øvredal, che viene dall’horror e si vede, porta in scena l’inquietudine del trovarsi innanzi a una divinità umana, portando così a compimento il giro che dalla paura alla paura ritorna.

“Gesù non ha mai ucciso nessuno” risponde Eric alla ragazza che gli chiede se lui sia Gesù, ma dal Vangelo dell’infanzia di Tommaso sappiamo invece che Gesù ha ucciso, quando da bambino si è lasciato dominare dalla propria emotività umana (n.d.r. Va chiarito che il Vangelo dell’infanzia di Tommaso, noto anche come pseudo-Tommaso, è uno dei vangeli apocrifi tra i più fantasiosi e quindi favoriti da una sub-letteratura di scarso valore storico che procede da Dan Brown fino alla teologia prêt-à-porter di Vito Mancuso. Il criterio di attendibilità degli apocrifi è stato lungamente discusso e i giudizi di uno studioso, tra l’altro agnostico, come Bart Ehrman, parlano chiaro sulla distanza siderale degli apocrifi dalla sobrietà dei sinottici. I primi al contrario hanno una natura leggendaria e favolistica molto marcata)

Allora a cosa può arrivare un uomo con i poteri di un dio? Non può non venire in mente il Dottor Manhattan di Watchmen.

Mortal ha qualche problema di scrittura. Oltre a una certa incoerenza nei poteri di Eric, che talvolta funzionano in un modo e talvolta in un altro, la parte centrale del film si ingolfa e riesce a proseguire solo attraverso qualche cliché narrativo.

Ciononostante, grazie alle buone premesse e a un terzo atto riuscito, l’ultimo film di Øvredal dimostra che la figura del supereroe può avere ancora molto da dire.

All’ombra dei colossi del MCU e del loro solido intrattenimento si celano autori e film che meriterebbero davvero maggior fortuna.

Mortal (Torden) di André Øvredal – Norvegia – Usa – Gran Bretagna – 2020 – 100 min
Interpreti: Nat Wolff, Priyanka Bose, Iben Akerlie, Arthur Hakalahti, Ravdeep Singh Bajwa, Ania Nova, Oddrun Valestrand, Kai Kolstad Rødseth, Per Frisch, Per Egil Aske
Sceneggiatura: Norman Lesperance, Geoff Bussetil, André Øvredal
Fotografia: Roman Osin
Montaggio: Patrick Larsgaard

RASSEGNA PANORAMICA
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Marcello Bonini nasce a Bologna nel 1989. Insegnante, fa il montatore per vivere. Critico Cinematografico, ha scritto per diverse riviste di cinema e pubblicato una raccolta di racconti. Fa teatro e gira cortometraggi.
mortal-di-andre-ovredal-recensioneAndré Øvredal realizza un film supereroistico in terra norvegese, basandosi sulla mitologia norrena. Mortal racconta di Eric, vagabondo di origini statunitensi che deve confrontarsi con i suoi straordinari poteri, simili a quelli di un Dio.
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