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Mother Schmuckers (Fils de plouc) di Lenny & Harpo Guit: recensione

Fils de plouc è il debutto nel lungometraggio di Lenny & Harpo Guit, due giovani registi belgi che hanno presentato il loro lavoro nella sezione Midnight del Sundance Film Festival. Commedia trash scorretta e oltraggiosa, descrive un'Europa desolata e popolata da abuso e povertà.

I fratelli Guit hanno due nomi che già da soli sono una dichiarazione di intenti. Dopo la premiere al recente Sundance 2021, il loro primo lungometraggio ha generato una ridda di recensioni indignate da parte della stampa statunitense per il carico di volgarità gratuita e oltraggiosa.
Siamo dalle parti della trash-comedy furibonda, contratta in settanta minuti di amorali nefandezze e girata in modo approssimativo e sporco, tanto da avvicinare il film maggiormente all’estetica del primo John Waters, che agli anni novanta dei Farrelly.

Eppure Fils de Plouc mantiene al centro un certo gusto per la composizione dell’immagine, soprattutto negli spazi chiusi e asfittici dove i corpi esplodono in una danza slapstick.
A chi lamenta una totale assenza di umanità, sfugge forse l’immagine di un Belgio privo di innocenza, popolato da derelitti e figure sul bordo, i cui desideri primari sembrano l’unica possibilità di sopravvivere alla pressione di una città ostile, fotografata da Sylvestre Vannoorenberghe con i colori di un’elettronica marcissima e delineata da luoghi derealizzati, spazi aperti in mezzo al cemento, strade dove la suburbia dei dropout è in ebollizione.

Per i due protagonisti, scelgono i nomi di Issachar e Zabulon, prelevati dalla tradizione ebraica e riferiti a due dei figli di Giacobbe. Non c’è alcuna aura sacrale nel loro modo di vivere, sempre sull’orlo della burla estrema e in continuo conflitto con la madre, prostituta in vetrina sfruttata da Violeta, una incredibile Chaida Chady Suku Suku, parte di un rutilante mondo multiculturale che sembra modellato sulle coordinate proletarie di Delépine e Kervern.

Quando i due fratelli, ossessionati dalla necessità di cibarsi, proporranno alla madre di assaggiare un hamburger carbonizzato, ottenuto in realtà cuocendo un vero e proprio pezzo di merda, Cachemire vomiterà verso l’obiettivo, irrorando il titolo del film.

Un incipit che funziona da promessa , mantenuta alzando sempre di più l’asticella del tollerabile.
Al centro del film lo smarrimento dell’amato cagnetto di Cachemire, January Jack.
Se i due inetti non riusciranno a trovarlo, la madre taglierà loro i viveri.

La corsa per i recessi della città condurrà i nostri a fare i boys di un improbabile videoclip gay, ad assistere ad una grande orgia animal sex, con tanto di cani, capre e galline, oltre a scontrarsi con un’umanità varia e brulicante, guidata dallo stesso propellente istintuale.

Nella galleria di freaks e dropout che i Guit si inventano, emerge un padre incapace di essere oltre che esserci, interpretato da un incredibile Mathieu Amalric, ma soprattutto il favoloso Choukri (Habib Ben Tanfous) illusionista suburbano che più di una volta toglie dai pasticci i due fratelli tra un coup de theatre e una scorreggia, infondendo un tocco di magia cartoonistica a quel senso della vita come continuo beffarsi di tutto, morte inclusa.

Le loro azioni sono in fondo guidate dallo stesso automatismo nichilista di Beavis e Butt-head, un atto di liberazione dal senso di moralità, compassione ed empatia. La differenza è socioculturale oltre che Storica.

Fuori dai giardini della middle class, Issachar e Zabulon vivono in un’Europa alla deriva, che ha dimenticato le proprie radici. Terra desolata, popolata da poveri e sfruttati, non promette altro che l’indigestione coprofaga di qualsiasi relitto, tanto da aggregare i gesti più significativi nella coazione a ripetere del nutrimento.

Hamburgher di merda o pieni di vermi, le ossa dell’amato cane da spolpare e ciucciare, la compulsione per l’acquisto di junk food in cambio di repellenti favori sessuali, fino alla profanazione più alta, quella della maternità come luogo da violare e stuprare.

Se la sporcizia e l’approssimazione delle immagini spinge il film sul confine delle parafilie underground, i Guit giocano ogni tanto con il tempo, parodiando il linguaggio remix di Quentin Dupieux e Cattet-forzani, ma senza alcuna ambizione se non il senso della ripetizione di attitudine punk; fondamentalmente un bene.

Fils de Plouc di Lenny & Harpo Guit (70 min, Belgio 2021)

Interpreti: Harpo Guit, Maximilien Delmelle, Claire Bodson, Toni d’Antonio, Habib Bentanfous, Tom Adjibi, Yannick Renier, Mathieu Amalric
Fotografia: Sylvestre Vannoorenberghe
Montaggio: Guillaume Lion, Naftule Tarraschuk

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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