È notte. Tra le montagne della Grecia, in un campo scosceso e abbandonato, tra sterpi e plastica un uomo piange sul corpo di una donna priva di sensi. Al mattino, l’uomo si allontana e raggiunge la strada, forse cercando aiuto. Viene ritrovato svenuto da un pastore che allerta la polizia. Quello stesso mattino un’ambulanza soccorre un neonato abbandonato in un ovile. Un infermiere lo porta con sé a casa e sua moglie decide di adottarlo. Il bebè ha i piedi gonfi, feriti. La donna, in riva al mare, gli bagna i piedi per lenire le sue ferite.
È così che ha inizio il nuovo lavoro di Angela Schanelec, regista tedesca già nota al pubblico della Berlinale per il suo Ich war zuhause, aber…, con cui vinse nel 2019 l’Orso d’argento per la miglior regia.
Il film si ispira al mito di Edipo e racconta la storia di Jon, ragazzo cresciuto negli anni Ottanta in una famiglia adottiva e che in un tragico incidente uccide inconsapevolmente quello che presumibilmente è il suo padre naturale. Incarcerato, Jon conosce Iro, una secondina della prigione. Lei se ne prende cura e tra l’altro, registra per lui una musicassetta. È ascoltando quella musicassetta che Jon scopre la sua passione per la musica, proprio nell’istante in cui nota che la sua vista si indebolisce. Una volta scontata la pena, Jon si trasferisce da Iro, la coppia ha due figli e vive una vita serena fin quando, come nel mito di Edipo, Iro non scopre che il suo ex-compagno è l’uomo ucciso da Jon anni prima. Da quel punto in avanti il tragico destino di Iro prende il suo corso. Tuttavia, non per Jon: questi, negli anni a seguire, si dedica con successo alla musica e sopravvissuto alle tragedie che hanno costellato la sua vita, riscopre infine la gioia di vivere.
Su un piano stilistico la regista adotta una sorta di grado zero del linguaggio cinematografico. La fotografia si caratterizza per un uso statico della camera da presa, quasi priva di movimenti. Il montaggio è anche ridotto all’essenziale, il film si compone prevalentemente di piano-sequenze in cui gli attori entrano ed escono dal campo dell’inquadratura. I dialoghi sono pochi e scarni, inframmezzati dai silenzi.
Il dialogo più lungo e meno frammentario è costituito da uno scambio di battute per la risoluzione di un cruciverba. Anche la recitazione attoriale è ridotta al minimo, negata, messa in discussione. Spesso si ha quasi l’impressione di avere dinanzi attori non professionisti. Interessante è oltretutto notare come, anche se l’azione si sviluppa in un arco di almeno 40 anni, non c’è nessuno sforzo di rendere conto degli anni che trascorrono: gli attori non invecchiano, il mutamento del corpo non viene messo in scena.
Perché queste scelte? Forse la regista vuole suggerirci che il linguaggio verbale e visivo restano nei limiti del loro mondo, possono solo presentare e riflettere su sé stessi. Essi non possono dirci niente della realtà nella sua immediatezza. Nel momento in cui si decide di rinunciare alla strategia della rappresentazione – tramite cui la realtà viene reinventata e messa in scena – l’inganno di questi linguaggi si annulla. Resta così solo un qualcosa fatto di vuoti semantici che non è facile interpretare con conoscenze culturalmente condivise. Ad esempio, lo stesso affermare che Music mette in scena il mito di Edipo è e resta un’ipotesi interpretativa, se si mettono da parte interviste alla regista e cartelle stampa.
Al contempo, Schanelec sembra dirci anche che, se il linguaggio vive nei confini della sua messa in scena ed è depositario del mito, diversa è la musica, che è in grado di sottrarsi alla dittatura del dicibile e del visibile. È grazie ad essa che il protagonista si libera dall’ineluttabilità del suo destino.
Con un narrato abitato da musica e silenzi, il film diviene così la testimonianza di una duplice liberazione. La liberazione del protagonista Jon dal suo destino di moderno Edipo e la liberazione della regista dalle attese e obblighi che la trasposizione di un mito può imporre. Non grazie ai linguaggi verbale e filmico, ma grazie alla musica il destino torna ad essere nelle mani degli uomini – e della regista.
Music di Angela Schanelec (Germania, Francia, Serbia 2023 – 108 min)
Interpreti: Aliocha Schneider, Agathe Bonitzer, Marisha Triantafyllidou, Argyris Xafis, Frida Tarana
Sceneggiatura: Angela Schanelec
Fotografia: Ivan Marković
Montaggio: Angela Schanelec
Sound Design: Rainer Gerlach