Da sempre, il lavoro di Daniele Finzi Pasca è il risultato di una ricerca proteiforme. Dentro la cornice spettacolare confluiscono elementi che provengono dal teatro classico, con particolare attenzione all’impiego delle macchine sceniche, dalla storia del circo moderno, da quella del cinema delle origini, dalle installazioni visuali postmoderne. Sono stratificazioni complesse che nel caso della performance attoriale acrobatica, recuperano numerose storie espressive originarie, che dall’ottocento passano attraverso le riformulazioni estetiche di Ariane Mnouchkine, Jerome Savary e Jean Baptiste Thierrée, nel corso degli anni sessanta e settanta del secolo successivo.
La creazione dello spazio è quindi per Finzi Pasca il risultato di un’arte di passaggio, sempre in divenire, ma radicata in quella tradizione performativa capace di trasformare le locazioni, dalla sala al tendone, dal tendone alla strada, verso nuove possibilità apolidi. Il sogno, elemento comune anche ai “nuovi circhi” degli anni settanta, trova nella produzione della compagnia con base Svizzera, un luogo specifico per generare questo passaggio e per creare nuove combinazioni di senso nell’organizzazione dello spazio teatrale.
Un insieme di generi, quelli modellati da Finzi Pasca e dalla sua compagnia, che si manifestano sul piano di un’espressione potentemente fisica e allo stesso tempo immaginale. Lo spazio di transizione è la scena stessa, nel continuo scioglimento del virtuale nella metarealtà dei principi scenotecnici che la costituiscono, nascosti e improvvisamente rivelati da una parte e dall’altra dell’impianto spettacolare.
In “Nuda“, un tappeto di tubi al neon abbandonati sul proscenio definisce un paesaggio post-industriale ancora capace di creare un linguaggio di intensità luminosa ravvivato dal mistero. Quello spazio accoglie, senza confinarlo, il racconto incarnato dell’attrice brasiliana Melissa Vettore e della conterranea Beatriz Sayad, voce sdoppiata dello stesso io narrante, impegnato a descrivere la vita di due sorelle. Mentre la voce abita i sentimenti della primogenita del parto gemellare, quella nata nel sangue, scaraventata per terra immediatamente perché ci si potesse occupare dell’altra, Anna è invece circondata da una luce immacolata, tanto da definire percorsi opposti e speculari, tra le luci e la tenebra.
Nuda, senza nome e libera di controllare gli elementi, la voce narrante descrive l’esperienza del doppio con un linguaggio che sembra prender vita dai racconti dei curanderi come dalle fiabe per l’infanzia.
Un’evocazione che dialoga con le luci interattive e sensibili al tatto, gli accenti della musica, le mutazioni del racconto, mentre in scena il volo libero di tre acrobati, sfrutta l’estensione del palco con l’aggancio ad un sistema visibile di fili. Sullo sfondo, l’uso metamorfico delle luci, apre allo sguardo un mondo senza confini stabili, che può improvvisamente chiudersi nella morsa dell’incubo, oppure aprirsi alle libere possibilità della danza.
Il teatro della carezza e il gesto invisibile, fondamenti della ricerca espressiva e poetica di Finzi Pasca sin da Icaro, spettacolo che dai primi anni novanta ha potuto contare su centinaia di repliche e rappresentazioni in tutto il mondo, si manifesta nell’incredibile e miracolosa levità di movimento delle macchine, plasmata dai giochi aerei dei corpi, accordati a loro volta sulle dinamiche interiori di questo doppio femminile, sospeso sul crinale tra dannazione e resurrezione.
La visibilità dell’apparato rende ancora più sorprendente l’esperienza, perché nell’evidenziare il gesto come scaturigine dell’emozione, lo colloca ad una distanza irraggiungibile e oltre le facoltà fisiche conosciute.
Per quanto la realtà interiore di “Nuda” sia fatta anche di quel lato inconfessabile e oscuro che ci trascina nell’irrazionale, i cruenti mostri dell’anima provengono dalla libertà dello stupore infantile. Su quel lessico, Finzi Pasca elabora un teatro della meraviglia che gioca con la materia e l’illusione, rivelandone un’origine comune.
La forza fisica, l’erotismo sognante di Jess Gardolin, quello ribelle e indomito di Micol Veglia, entrambe capaci di disegnare mondi solo con il movimento e la postura dei piedi, ma anche il gioco di grandi marionette introdotto da Francesco Lanciotti nella coincidenza tra prigione dei movimenti e assoluta invenzione, pur nella diversità interpretativa e in quella delle facoltà acrobatiche, svuotano e riempiono il concetto stesso di grazia capovolgendone i principi percettivi.
Dalla riflessione Kleistiana, che Finzi Pasca ha più volte dichiarato come fonte di ispirazione, si passa ad un principio di svuotamento dell’io di ascendenza post-umana.
Le caratteristiche antigravi delle marionette, definite da Kleist come capaci di esprimere una grazia “incosciente”, vengono rilette attraverso una relazione ancora più ricca con gli oggetti.
Scope, palline di gomma, coriandoli rifrangenti, l’armadio che separa due dimensioni e il sipario che sigilla l’accesso ad un sogno danzante sovraesposto nella luce, i praticabili e gli oggetti volanti, i supporti aerei animati dalla fisicità dei performer. Tutto suggerisce una relazione bellissima e mostruosa, infernale e leggerissima, tra il propellente attivo del gesto e la risposta causale del mondo inanimato.
Si riconosce allora la profonda e imperfetta umanità, polarizzata su opposizioni abissali, e il superamento di una condizione di prigionia attraverso la libertà delle macchine, finalmente private dal peso della coscienza.
Liberi di guardare, in “Nuda” si scorge il disegno dell’aria, la descrizione fisica del vento, la materializzazione del suono e della musica nelle pulsazioni illuminotecniche.
La grande palla che attraversa il palco, nella festosità magniloquente e totale della messa in scena, diventa allora un occhio che riflette e inghiotte il mondo della sala.
Vedersi improvvisamente visti, per diventare parte dello stesso gioco.
Ispirata al suo omonimo romanzo, Nuda di Daniele Finzi Pasca è uno spettacolo denso di mistero e stupore, dove profondità e abissi sono in continuo dialogo con un mondo leggero e luminoso, fatto di piani che si sovrappongono e giocano tra loro. La potenza teatrale si sposa con una narrazione poetica dal sapore onirico, in assoluta armonia con il teatro fisico e la danza aerea. Due gemelle, cresciute in una famiglia “eccentrica”, eppure così simile a quella di tutti, si toccano, si sfiorano, a volte si calpestano, per poi riscoprirsi in un abbraccio pieno di gioia e libertà ritrovate. Un gioco acrobatico, insieme a un’installazione di luci interattiva intrecciate alla narrazione e un potente universo sonoro, compongono questo spettacolo magico e surreale.
scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca
interpreti: Melissa Vettore, Beatriz Sayad, Jess Gardolin, Micol Veglia, Francesco Lanciotti
musiche Maria Bonzanigo
scene Hugo Gargiulo
costumi Giovanna Buzzi
video Roberto Vitalini
direttore di produzione, co-designer luci Marzio Picchetti
scenografo associato Matteo Verlicchi
produzione Compagnia Finzi Pasca, Gli Ipocriti Melina Balsamo, Teatro della Toscana
durata 80 minuti
24 gen 2023 ore 21.00
25 gen 2023 ore 21.00
26 gen 2023 ore 19.00
27 gen 2023 ore 21.00
28 gen 2023 ore 21.00
29 gen 2023 ore 16.00
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