Il corpo nello sport può essere considerato come uno strumento di conoscenza e di comprensione del mondo. Nel superamento costante dei limiti, si inscrive un processo di formazione identitaria che fonde soggetto e oggetto, con la ripetizione dei movimenti e l’estensione progressiva delle capacità motorie, grazie a strumenti ed espansioni inorganiche delle facoltà fisiche.
Movimenti corporei e mente diventano indistinguibili e sgombrano il campo da una percezione binaria delle attività agonistiche. La filosofia del corpo sovrappone la dimensione razionale e quella emozionale, con un’automazione che supera le facoltà comuni.
Questa immersione nel mondo dove la distanza tra soggettivo e oggettivo viene ridotta radicalmente, è al centro del primo film diretto dal regista francese Elie Grappe, che appena laureatosi alla scuola nazionale d’arte di Losanna, si imbatte in una giovane violinista ucraina arrivata in Svizzera prima della rivoluzione della dignità del 2013-2014. Filmata per ragioni di lavoro, ne rileva il contrasto tra le aspirazioni personali e l’impatto che subisce dalle immagini violente filtrate dai media e registrate nel suo paese durante i giorni più duri della repressione.
L’innesco principale per la sceneggiatura di Olga comincia da qui e viene ultimato sei anni dopo, delineando il percorso di una ginnasta all’apice di una trasformazione fisica, identitaria e politica.
Con Anastasia Budiashkina, giovane atleta ucraina nel ruolo da protagonista, esercizio attoriale e vita vissuta si avvitano in uno scambio intenso generato da due percorsi di confine allo specchio. Quello dell’interprete, esule in Polonia subito dopo l’aggressione del suo paese da parte della Federazione Russa e il racconto di Olga, spedita dalla madre giornalista nella famiglia del padre Svizzero, per cautelarsi dalle esplosioni di violenza in Ucraina e unirsi alla squadra locale in preparazione dei campionati europei di ginnastica.
Grappe individua sin dall’inizio il contrasto feroce tra corpo e ambiente, con una sequenza contestualizzata successivamente, ma che ci viene presentata in medias res come esplosione di violenza irrazionale. Quando il veicolo guidato dalla madre viene ripetutamente colpito da un’altra auto sbucata improvvisamente dal niente e lanciata a grande velocità, Olga rimane ferita ad un braccio dall’infrangersi dei finestrini. È solo l’inizio di un progressivo adattamento del corpo alle sollecitazioni di un contesto ostile.
In Ucraina gli effetti della politica repressiva di Viktor Yanukovych appaiono come una forza oscura, distruttiva e invisibile; in Svizzera, il plurilinguismo che caratterizza la nuova squadra di Olga, colloca la ragazza in una posizione aliena, acuendo il senso di straniamento e di isolamento che sembra configurare questo microcosmo come immagine speculare di un’Europa indifferente.
Le immagini più crude dell’Euromaidan e le call con la madre, sempre più confuse dai rumori della rivolta fino a trasformare il suo volto in un agglomerato di pixel corrotti, conducono Olga ad una scissione forzata con le sue origini. L’impossibilità di esercitare un’azione politica diretta separa la mente dal corpo, forzandola a cercare una riunificazione nell’espansione del secondo attraverso gli strumenti dell’esercizio ginnico. La pervasività della rivolta virtuale viene allora nuovamente attualizzata nella routine della prova fisica, fino a quando il confronto con una connazionale inglobata suo malgrado nella squadra russa, spezzerà nuovamente gli equilibri. La collega collocherà il discorso dell’identità nazionale all’interno dell’arena sportiva, invalidando l’esibizione e denunciando con un gesto di boicottaggio le condizioni tragiche in cui versa il suo paese.
Nello studio del personaggio che Grappe costruisce con minuzia, vengono evitate stucchevoli simmetrie e didascalismi superficiali. Olga vive un dissidio identitario che trasmuta il personale-politico in una trasformazione radicale del corpo. Non può scindere il movimento dal pensiero; lo stato di trance che le consente di portare a casa un’esibizione perfetta supera la dicotomia tra azione e virtualizzazione. L’unico modo per risolvere il contrasto tra la sua mutazione e il legame con le sue origini è estremizzare la fusione tra teoria e pratica che caratterizza l’attività ginnica. Oltrepassare quel limite significa allora condurre il corpo a farsi strumento estremo per restituire senso all’esistenza. L’impeto al superamento delle proprie facoltà che qualifica gli sport estremi viene abitato da Olga contro il suo stesso corpo, mettendo in atto un vero e proprio sabotaggio fino a spezzarne le facoltà. Non è una semplice interruzione della sua attività, ma un gesto di estrema adesione che può passare solo attraverso il martirologio.
Al netto di uno sguardo che deve ancora formarsi completamente, Grappe individua un punctum radicale nel confine tra umano e post umano che attraversa tanto l’universo sportivo, quanto quello di un atto di resistenza politica. Sicuramente una delle immagini più intense tra quelle in circolazione, per definire la resistenza di un popolo contro ogni tentativo di cancellazione.
Olga – di Elie Grappe (Svizzera, Ucraina, Francia 2021 – 87 min )
Interpreti: Anastasia Budiashkina, Sabrina Rubtsova, Caterina Barloggio, Thea Brogli, Tanya Mikhina
Sceneggiatura: Elie Grappe, Raphaëlle Valbrune-Desplechin
Fotografia: Lucie Baudinaud
Montaggio: Suzana Pedro
Musica: Pierre Desprats