Quando Oh Min-ju viene sequestrata da sette uomini mentre fa ritorno a casa durante la notte, Kim Ki Duk filma la brutale aggressione fino al momento in cui questi la bloccano e le coprono il volto con il nastro adesivo. L’atroce destino della ragazza sarà reso noto successivamente attraverso le operazioni di un gruppo paramilitare clandestino deciso a punire tutti i responsabili catturandoli uno dopo l’altro e costringendoli a firmare un’esplicita confessione legata al loro coinvolgimento nella vicenda. Nel mezzo, Kim Ki Duk depista continuamente la centralità dei fatti sovrapponendo le vicende personali dei carnefici e quelle dei miliziani improvvisati, individuando un territorio di confine che dissolve le motivazioni per dare luogo ad un complesso processo di mutazione di un soggetto sull’altro. Ed è proprio in questo slittamento che il cinema di Kim Ki Duk si manifesta, ancora una volta, contro lo spazio che lo chiude. Pietà, Moebius e il suo ultimo lavoro, non sono film asfittici nonostante l’angustia degli ambienti e l’apparente autosufficienza simbolica a cui ricorrono, proprio perchè i simboli, siano essi un fallo scambiato, gli strumenti di tortura, le videocamere di sorveglianza senza sorvegliante, un’innocua pistola giocattolo che improvvisamente può uccidere, vengono smantellati in un movimento palindromo, che da Real Fiction in poi, come scrivevamo nel 2008 per Bi-Mong, si è rigorosamente aperto sempre di più allo sfrangiamento della ripetizione seriale in un’infinita moltiplicazione di quegli stessi elementi che la costituiscono. “Chi sono io?” è l’interrogativo che il regista Coreano sostituisce alla parola “Fine”, dopo una conclusione solo apparente, ultima apertura di una serie, parte di quella catena di agnizioni che fino a quel momento ha trainato su una superficie non orientabile lo scambio di una soggettiva sull’altra. “one on one” e non “one by one”, perchè nel secondo caso la serie progressiva dei crimini, quella che può illuderci di individuare un vertice o un’origine, avrebbe probabilmente soddisfatto lo spettatore critico in cerca di un “plot”, nel doppio significato di mappatura e complotto, due facce di quello stesso cinema che non interessa a Kim Ki Duk. In questa esfoliazione del set, come si diceva, c’è un tratto comune agli ultimi quattro film dell’autore coreano, quello di uno spazio sfondato, distrutto, spaccato in due. Un cinema delle rovine che non è semplicemente l’immagine di un contesto sociale, ma la messa in abisso del passaggio tra profilmico e universo diegetico, non tanto protesa a disvelare la presenza del dispositivo quanto a neutralizzare l’orientamento prioritario di una verità sull’altra, cercando una dimensione sospesa nel momento dell’attraversamento. L’ostinazione del leader delle “ombre” (Dong-seok Ma) nella ricerca di un’origine, l’identità di un mandante che dia un senso all’orrore è probabilmente la stessa di un regista-burattinaio ossessionato dal controllo; Kim Ki Duk si è sbarazzato di quel fantasma con feroce e dolente ironia.
One on one di Kim Ki Duk – Venezia 71, Giornate degli autori
2774LETTURE
ULTIMA MODIFICA:
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
Articolo precedente
Articolo successivo
ARTICOLI SIMILI
That Summer’s lie di Sohn Hyun-lok: recensione
Il racconto di formazione per Sohn Hyun-lok è un non-luogo e può accadere solo in una città spettrale, depotenziata e derealizzata rispetto alla sua funzione sociale. That Summer's lie è un debutto di altissimo livello, che individua nel fluire del tempo la convivenza tra immaginazione ed eventi. Scritto, diretto e montato dal giovane regista coreano, il film ha vinto il premio FIPRESCI al 28mo Festival Internazionale di Busan. La nostra recensione
The Wandering Moon di Sang-il Lee: recensione
Nel coraggioso e poetico The Wandering Moon, Sang-il Lee riprende l'interrogativo principale dal romanzo di Yu Nagira a cui si è ispirato: In una società ostile basata sul sospetto e la punizione cautelare, se un pedofilo non si macchia di alcun crimine, non esercita coercizione né abuso, è perseguibile moralmente e penalmente?
Moving On di Yoon Dan-Bi: recensione
Il piccolo Dongju e la sorella adolescente Okju vanno a vivere nella casa del vecchio nonno insieme al padre, dopo la separazione dalla moglie. Primo film per la regista coreana Yoon Dan-Bi, racconto di perdita e di formazione visto al Torino Film Festival 2020
Il prigioniero coreano di Kim Ki-Duk: la recensione in anteprima
Kim Ki-Duk, il prigioniero coreano esce il 12 aprile nelle sale italiane
Okja di Bong Joon-ho: la recensione
Okja del sudcoreano Bong Joon-ho, la recensione
On the Beach at Night Alone di Hong Sang-soo – Berlinale 67, Concorso: la recensione
I film di Hong Sang-Soo bisognerebbe vederli tutti, magari in una giornata, come se fosse una sola esperienza di cinema espanso.
The Net di Kim Ki Duk – Venezia 73 – Cinema nel giardino: la recensione
La recensione di The Net, visto a Venezia 73
Right now, wrong then di Hong Sang-soo – Locarno 68, concorso
Right now, wrong then di Hong Sang-soo vince Locarno 68. La nostra recensione
Socialphobia di Hong Seok-Jae – Florence Korea Film Festival 2015: la recensione
Presentata al Florence Korea Film Fest l’opera prima di Hong Seok-Jae: la recensione
A Girl at my Door di Jung July al Florence Korea Film Fest: l’incontro con l’autrice
La giovane regista coreana Jung July ospite della tredicesima edizione del Florence Korea Film Fest; l'autrice ha incontrato la stampa fiorentina per presentare il suo A Girl At my door, opera prima crudissima oggi 21 marzo in anteprima Italiana al Cinema Odeon di Firenze
Gukje Shijang (Ode to My Father) di JK Youn – Berlinale 65 – Panorama special
Nuovo film per il sudcoreano JK Youn presentato nella sezione Panorama della Berlinale 65
Locarno 67 – Alive di Jung-Bum Park
Alive il secondo film del coreano Jung-Bum Park, in concorso a Locarno 67
Thuy, il bel debutto di Jae-han Kim al Busan Film Festival 2013
È un bel debutto il primo, effettivo, lungometraggio di Jae-han Kim. Thuy è stato presentato all'appena concluso Festival di Busan, edizione 2013
Kim Jee-Woon e la terza dimensione senza occhiali: Screen X
Presentato al recente Busan International Film Festival, Screen X è la nuova tecnologia Coreana che promette cinema immersivo senza la necessità di indossare ingombranti occhiali 3D
Moebius di kim Ki duk a Venezia 70: la famiglia evirata
Breve storia di una famiglia autodistruttiva
Future Reloaded a Venezia 70: un po’ di possibile, altrimenti soffoco
Alberto Barbera e Stefano Francia di Ceglie hanno chiesto a 70 registi internazionali di realizzare un cortometraggio per i settantanni della mostra, della durata tra i 60 e i 90 secondi; tema: il futuro del cinema
In Another Country: i frammenti di un discorso amoroso di Hong Sang-soo
In another country è il primo film di Hong Sang-soo ad essere regolarmente distribuito nelle nostre sale, il terz'ultimo film realizzato dal regista Coreano e il tredicesimo della sua carriera.
Locarno 66 in pillole: U Ri Sunhi di Sangsoo Hong
U Ri Sunhi nuovo film per il coreano Sangsoo Hong in concorso a Locarno 66
Berlinale 2013 – Concorso – Nobody’s Daughter Haewon di Hong Sang-soo
Nobody's Daughter Haewon in concorso a Berlino 63, l'amnesia come possibile esperienza di cinema