A due anni di distanza dall’ottimo “Touch of The light”, candidato all’Oscar per il miglior film straniero Taiwanese, Chang Jung-chi torna con un secondo lungometraggio con la produzione esecutiva di Ye-cheng Chan (Happy Together, In the mood for love, 2046, The Grandmaster) e presentato in apertura al recente Taipei Film Festival, dove con la stessa delicatezza con cui affrontava il mondo del pianista non vedente nel precedente film, costruisce con “Partners in Crime” un romanzo di formazione altrettanto doloroso, ma forse più complesso nella struttura temporale. Introdotto con una serie di immagini ipertrofiche che si muovono tra passato, presente e futuro, intreccia sin da subito il destino dei suoi protagonisti. Mentre il giovane Huang, di ritorno da scuola, trova il cadavere di Hsia, un’adolescente che frequenta il suo stesso istituto, incrocerà la strada di altri suoi due colleghi, Lin e Yeh. Chang Jung-chi li inquadra dall’alto, e li lega indissolubilmente in un’immagine dalla compostezza quasi pittorica insieme al cadavere riverso per strada, catturando da questo momento in poi, tutti i personaggi del film in una dimensione sospesa tra la vita e la morte. Decisi a scoprire la verità, raccoglieranno alcune tracce che portano verso un diario conservato dalla ragazza, un racconto segreto che nasconde probabilmente le ragioni della tragedia. Tra flashback che descrivono la solitudine di Hsia, il suo rapporto con la madre, la prigione di una casa i cui oggetti “non riescono a parlare” e l’uniformità di un’esperienza scolastica sempre uguale a se stessa, si aprono altre strade che consentono ai tre ragazzi di imbastire una pista che non ha nessun appiglio concreto con la realtà. Individuando una compagna di Hsia, responsabile secondo l’interpretazione di Huang in base ad alcune tracce riscontrate nel diario, di aver spinto la ragazza verso la morte a causa di un comportamento intimidatorio, la trascineranno in una foresta vicino ad una palude, allestendo un macabro scherzo ai suoi danni. È l’inizio di una vera e propria reazione a catena che porterà alla morte accidentale di Huang durante un bagno nella palude e al percorso di ricerca della verità della sorella del ragazzo, decisa a sua volta a trovare i responsabili. Chang Jung-chi intreccia il destino e le relazioni affettive di tutti i personaggi in una sorta di percorso di agnizione dove ruoli e colpe vengono di volta in volta disattesi e rovesciati, mettendo a un certo punto al centro il diario di Hsia, oggetto occultato, ritrovato a più riprese e persino contraffatto; traccia concreta della disperazione di Hsia e allo stesso tempo strumento narrativo destinato ad una serie di derive e deformazioni, proprio quando il tentativo di orientarne il racconto si rivelerà una “perversione” impossibile. È su questo continuo slittamento della verità, sulle tracce digitali (fotografie, social network, chat) che cambiano progressivamente senso, che Chang Jung-chi insiste costruendo un racconto di solitudine che coinvolge tutti quanti come osservatori distanti che non riescono a toccarsi veramente quasi mai. La madre di Hsia che recupera il ciondolo appartenuto alla figlia dopo la sua caduta, la sorella di Huang che osserva da una finestra della scuola il fratello minacciato dai compagni, la stessa Hsia che si chiude in uno spazio irraggiungibile, quello della casa o la toilette della scuola; Yeh che rimane in una posizione ambigua nei confronti della sorella di Huang, non rivelandole il suo coinvolgimento nel bagno in palude che ha causato l’annegamento del ragazzo, e infine il diario stesso che gettato in acqua, scompare senza che possa essere sperimentato un confronto tra le numerose versioni che ne interpretano le parole e il significato. Partners in Crime quindi, come unico legame possibile, che avvicina il destino di tutti, alla conoscenza della morte.