giovedì, Novembre 21, 2024

Pearl – An X-traordinary Origin Story di Ti West: recensione

Ti West e Mia Goth elaborano ancora una volta uno spazio alieno con frammenti conosciuti di cinema e letteratura, liberando l'estetica del media franchise dallo spettro della similarità e aprendosi a forme più aperte rispetto alle strategie in gioco nell'universo seriale contemporaneo

Nella rilettura del technicolor che Eliot Rockett è riuscito a realizzare con l’aiuto delle scenografie di Tom Hammock, il 1918 di Pearl assume le forme e i colori del cinemascope anni 50.

Rispetto alle atmosfere, le luci e la fotografia laida di X, i parametri del cinema slasher vengono ulteriormente deterritorializzati tanto da operare uno slittamento dal binomio porno/horror ad uno speculare che cambia il primo termine con i codici del melodramma.

Ti West e Mia Goth elaborano ancora una volta uno spazio alieno con frammenti conosciuti di cinema e letteratura, liberando l’estetica del media franchise dallo spettro della similarità e aprendosi a forme più aperte rispetto alle strategie in gioco nell’universo seriale contemporaneo.

La fattoria è la stessa che nel 1979 accoglierà la piccola troupe intenzionata a fare di Maxine Minx una star del porno, ma ha i colori magici di Oz e sembra poter contenere tutti i sogni della post-adolescenza. Pearl è senza Howard, marito devoto, custode armato della sua follia in X e qui impegnato sul fronte. I compiti della giovane donna sono quelli di nutrire il padre ridotto ad uno stato vegetativo e assecondare il rigore evangelico della madre, una risonanza con il percorso di Maxine, che nel futuro fuggirà dal fanatismo di un mondo simile.

Il sogno di vivere una seconda vita al centro dello schermo accomuna le due giovani donne, così come la morfologia texana che incendia i loro desideri.

Pearl, che a un certo punto veste di rosso scarlatto, viene dal mondo di Nathaniel Hawthorne, ma è anche un giglio nero, crudele come la Rhoda di William March e Mervyn LeRoy. Dal pontile della baia non spinge un coetaneo, ma offre alle fauci del vorace alligatore che ci sguazza, un papero appena trafitto con il forcone, spostando ulteriormente di senso un’immagine che nella relazione tra Pearl e gli animali, avrebbe potuto descrivere una dimensione perfettamente disneyana.

Sin dall’inizio West e Goth, che ha scritto il film insieme al regista di Wilmington, contaminano più storie dell’immaginario statunitense, rimanendo ancorati a quello tra fine ottocento e i primi anni del novecento per quanto riguarda la definizione emotiva e sociale dei personaggi, ma rilevando nella rilettura del melodramma e del musical cinematografico degli anni cinquanta, gli stessi semi che in X avevano consentito un dialogo tra porno e horror.

L’innesto della follia nel cuore della famiglia americana allora, replica ed eccede gli aspetti più tipici del cinema slasher, radicandoli più indietro rispetto alle disillusioni post-vietnam e alle disfunzioni che popolano il primo cinema di Tobe Hooper, ma anche più avanti, se si considera l’avvitamento temporale tra il nostro presente e i continui riferimenti alla grande pandemia influenzale che limitano la vita sociale di Pearl, costringendola ad un’esistenza coatta.

E se i sogni di un numero musicale perfetto non riescono ad attecchire dal palco della chiesa locale all’esperienza del Cinema, quelli dischiusi dagli spettacoli privati e clandestini gentilmente offerti dal proiezionista della città vicina allo sguardo incantato di Pearl, mostrano ancora una volta un’immagine collaterale all’industria, un gioco di rispecchiamenti e doppi cinematografici dove la libertà del desiderio occupa lo stesso spazio della promessa e dell’inganno rispetto alla conformità dei codici.

West e Goth quindi indirizzano continui rimandi a X, non solo per le allusioni ad un cinema fuori dal tracciato principale della produzione di massa, ma stabilendo una comunicazione diretta tra Pearl e Maxine attraverso posture, attitudini e gesti recursivi.

I film di Cukor, DeMille, Fleming, diventano codici sui quali si inscrive una realtà parallela che non è semplicemente il frutto di un gioco combinatorio, ma il risultato di una lettura transtorica che procede in molte direzioni.

Insistiamo sulla dimensione texana del film, inteso come luogo di confine. Spazio ibrido per eccellenza, si materializza con tutti i suoi sconfinamenti nel disturbante monologo di Pearl, ma anche nel primo piano che stringe sul suo volto, sovrapponendo il sorriso infantile di Mary Pickford con i segni della follia.

La pressione dell’acceleratore che conduce MaXXXine verso il 1985 dell’hard su nastro, suggerisce un tracciato ereditario che contamina la storia individuale e collettiva di un paese.

Pearl – An X-traordinary Origin Story di Ti West (Usa 2022, 102 min)
Interpreti: Mia Goth, David Corenswet, Tandi Wright, Matthew Sunderland, Emma Jenkins-Purro, Alistair Sewell
Sceneggiatura: Ti West e Mia Goth
Fotografia: Eliot Rockett
Montaggio: Ti West

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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