venerdì, Novembre 22, 2024

Pecore in erba di Alberto Caviglia: la recensione

Ironico mockumentary sul tema del pregiudizio razziale, Pecore in erba di Alberto Caviglia ha il colore inconfondibile di Trastevere, il più romano dei quartieri dell’Urbe, un posto dove sopravvive, benchè a fatica, un certo modo di sentirsi “romani de Roma” nelle strade e fra la gente che lo popola.

Opera prima preceduta da un importante apprendistato (Caviglia ha lavorato molto con Özpetek a partire dal 2006 come assistente alla regia) si fa notare subito per il cast singolare, fatto per metà di attori che interpretano i vari personaggi e per una cospicua altra metà di nomi arcinoti che recitano sè stessi. Presenze tipo Corrado Augias, Tinto Brass, Enrico Mentana, Mara Venier, Aldo Cazzullo e compagnia varia di nomi non meno noti passano in brevi stacchi per interviste sul problema al centro dell’interesse generale, cioè la scomparsa inspiegabile da ormai sei mesi di tale Leonardo Zuliani. Abitante in Trastevere, Leonardo è un personaggio sulla cresta dell’onda per specifiche attività e convinzioni che ne hanno fatto una star arcinota, dunque nè i media possono ignorarlo né i maître à penser , televisivi e non, trascurare per produrre la loro ennesima analisi illuminante e imprescindibile.

Per par condicio bisogna citare anche qualcuno degli attori veri, e scegliendo a caso parliamo di Davide Giordano, perfettamente a suo agio nel ruolo di Leonardo e Omero Antonutti, a cui basta la brevissima parte del nonno controcorrente per segnare il goal del grande attore. Dunque ottime credenziali per la messa in scena di una storia parecchio surreale, svitata, inattesa quanto basta per ribaltare il senso comune mettendo in moto i classici meccanismi del comico.

E’ l’estate del 2006, la notizia della sparizione di Leo si diffonde, gli animi sussultano, la madre si dispera e smette di far lasagne, la sorella rilascia dichiarazioni strappacuore, il migliore amico si pente in diretta di averlo mollato perché stufo di lui e l’intero quartiere va in tilt. Leonardo è una lunga serie di cose: fumettista, stilista, scrittore e, soprattutto, attivista dei diritti civili. Quale in particolare? Il sacrosanto diritto ad un sano e solido antisemitismo. Il suo è un fatto viscerale, una componente che si direbbe connaturata in lui dalla nascita, qualcosa che segnerà sempre la sua strada, a partire dai primi anni di scuola, quando il bersaglio costante fu Mario, piccolo ebreo occhialuto che ancora da adulto, ricevuto dalla Venier, piange in diretta sulla sua vita distrutta dall’accanimento di Leo.

Prodotto da On My Own con il contributo del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Pecore in erba è un piccolo gioiello di satira graffiante, una caricatura così abile da sembrare verità, un modo di dissacrare stereotipi usando la risata come arma, per affermare attraverso la negazione e ridicolizzare piuttosto che ribattere argomentando e accalorandosi.

Sono ebreo, sensibile al tema. Ho cercato un approccio diverso rovesciando la prospettiva: ho trasformato un antisemita in un eroe che cerca di esprimersi in una società altrettanto ribaltata” ha dichiarato il regista, giovane ebreo romano che ha vissuto in diretta un certo modo di farti sentire diverso e ha scelto di seppellire tutti con la famosa risata.

Chissà se nel farlo ha ricordato l’indimenticabile ironia di Lubitsch? “Far ridere è importante!” diceva l’attore-spalla che recitava sempre da alabardiere ma che sognava di fare Shylock, l’ebreo mercante a Venezia di shakespeariana memoria in To Be Or Not to Be.

Ridere per esorcizzare, dunque, per essere sempre nuovi, per non invecchiare, per abbattere le barriere che ci separano, per lasciare che un pizzico di follia ci salvi. Ce lo raccomanda anche Erasmo, sì, quello da Rotterdam, fosse stato ancora fra noi Caviglia l’avrebbe di certo intervistato!

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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