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Photophobia di Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík: recensione – Venezia 80

Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík entrano nella sotterranea di Kharkiv popolata da più di 1.500 rifugiati e raccontano il tempo della sopravvivenza e del gioco che si oppone a quello della guerra. Visto a Venezia 80 nella sezione Giornate Degli Autori

L’artista tedesco Eginhartz Kanter, tra i suoi lavori di riconcettualizzazione dello spazio pubblico, ha fotografato gli ambienti della metropolitana di Vienna, intervenendo con segni e materiali del gioco infantile. Le tracce immaginarie dell’attività ludica trascorse in quei luoghi, raccontano nuove possibilità rispetto agli snodi inaccessibili della circolarità urbana, aprendo porte ulteriori.

Le premesse del lavoro concepito dagli slovacchi Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík sono ben diverse rispetto alle occorrenze concettuali di un’installazione, eppure non mettono da parte la sperimentazione, intesa come capacità dello sguardo di generare fratture ed indicare altre vie percettive.

Lo scenario è quello della stazione della metropolitana di Kharkiv in Ucraina popolato da più di 1.500 rifugiati, dove la coppia di registi si è recata nel 2022 per realizzare un progetto dai confini ancora tutti da definire, basato in parte sull’osservazione. Avvicinandosi alla morfologia di un vasto ambiente costituito dalla contrazione di numerose cellule domestiche, hanno potuto constatare da vicino gli effetti dell’invasione russa in uno spazio dalle funzioni ribaltate rispetto a quelle della vita comunitaria.

La luce e gli innesti dell’esperienza urbana vengono sostituiti dai neon lividi disponibili nello spazio sotterraneo, i binari si estendono come il ventre meccanico di una madre mostruosa, i vagoni immobili e gli spazi più ampi della stazione accolgono un’umanità sofferente, organizzata per sopravvivere.

La distribuzione e il razionamento del cibo, l’attenzione meticolosa agli ingressi e all’assegnazione degli animali domestici per limitare problemi igienici, i sogni e gli incubi di una comunità intera, seclusa da mesi.

La vicinanza alle storie minime, oltre a stabilire il valore testimoniale delle immagini, riesce ad individuare un punctum della messa in scena dove il ritratto intimo, spesso di grande flagranza e forza, contrasta con uno sfondo tecnologico innaturale e aberrante.

Tra il metallo e il cemento, l’unico sguardo che sembra poter scardinare la logica inevitabile della sofferenza è quello infantile. L’incontro tra il dodicenne Niki e la quasi coetanea Vika, consente ai due registi di giocare con loro e di piegare la cronaca di un domicilio coatto verso la ricerca della luce.
Improvvisamente tutti gli spazi adibiti all’accoglienza e alla risoluzione di problemi pratici, vengono investiti di altro senso rispetto alla funzione, per aprirsi alle capacità combinatorie del gioco.

La spazio dei divertimenti, fondamentale affinché un bambino possa ricreare e leggere il mondo, si estende lungo le arterie e i binari sotterranei, scrivendo una storia parallela e non meno importante rispetto alla dimensione quotidiana di resistenza all’aggressione.

Ostrochovský e Pekarčík sfruttano varie forme di un lessico che gioca e si mette in gioco, rielaborando per esempio la suoneria di uno smartphone come un leitmotiv fiabesco, per attivare numerose stratificazioni tra realtà e immaginazione. Questo senza mai forzare la mano dalle parti di un approccio visionario soverchiante, ma al contrario confermando il radicamento essenziale tra le pieghe di ciò che definiamo come “reale”.

L’impiego di un dispositivo stereoscopico per consentire ai due bambini di osservare l’esterno come se fosse una sequenza di frammenti mnestici, lontani nel tempo e nello spazio, è un’esca finzionale che integra le immagini della realtà bellica in superficie, filmata dai due autori in pellicola Super 8.
La scelta di un formato legato alla conservazione di memorie famigliari ormai dismesso da alcuni decenni e rilanciato attraverso prassi e lessico del found footage, frappone una membrana tra i ritratti girati sullo sfondo di una terra devastata dalla guerra e l’immaginazione infantile. La membrana lascia inalterato l’orrore, ma consente di osservare un carosello di ritrattistica quotidiana grazie all’esposizione luminosa, dove interno ed esterno si condensano, riducendo la distanza tra tempo del gioco e tempo della guerra.

Quello sotterraneo, sospeso nello spazio eminente per organizzare la circolarità urbana, può allora trovare una ragione per credere e per sperare attraverso l’illusione e la ricerca della luce.

Photophobia di Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík (Slovacchia, Repubblica Ceca, Ucraina, 2023 – 71′ min)
Interpreti: Nikita Tyshchenko, Viktoriia Mats, Yana Yevdokymova, Yevhenii Borshch, Anna Tyshchenko, Vitaly Pavlovitch, Tetiana Volodymyrivna Syrbu
Sceneggiatura: Marek Leščák, Ivan Ostrochovský, Pavol Pekarčík
Fotografia: Ivan Ostrochovský, Pavol Pekarčík
Montaggio: Ivan Ostrochovský, Pavol Pekarčík, Martin Piga

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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