Nel dibattito storiografico che si muove intorno allo statuto della testimonianza, c’è un nodo fondamentale che pone su due piani opposti la distanza razionale dalle fonti e l’evento ancora vivo evocato dal testimone. Tendere verso l’inoppugnabilità dei documenti, oppure considerare la memoria vissuta innesco in grado di mettere al centro la verità, intesa come ricerca filosofica ed etica?
Raccogliere testimonianze è un processo che investe l’identità personale, in relazione alla dimensione collettiva. Questo accade soprattutto di fronte alla narrazione di eventi estremi, dove la resistenza individuale può tradurre l’essenza stessa del male nella Storia, a partire da un’esperienza che ha cercato di trascenderla. Indicibile e allo stesso tempo funzionale per la leggibilità del racconto testimoniale, la narrazione dell’esperienza più estrema risiede sul crinale tra la necessità e l’impossibilità di definire pienamente l’orrore che la contiene.
Il progetto di sterminio staliniano che viene designato dal termine Holodomor è un esempio flagrante del contrasto tra valore della testimonianza e quella determinazione oggettiva della verità, sempre più spesso strumento di regime per ostacolarne il percorso. Il contributo dell’Unione Sovietica per la redazione della “Convenzione sul Genocidio”, elaborata nel 1948, fu decisivo proprio allo scopo di alterare la percezione dei crimini sovietici e per escludere lo sterminio per fame che uccise sei milioni di ucraini tra il 1932 e il 1933. Una percezione che si è riverberata anche nei paesi europei con un Partito Comunista forte. In Italia “Ho scelto la libertà”, il volume di Viktor Andrijovyč Kravčenko, defezionista e dissidente, tra i primi a descrivere un quadro dettagliato degli orrori staliniani, fu tradotto per Longanesi nel 1948, recensito con grande violenza da L’Unità come un frutto volgare della propaganda capitalista e mai più ristampato.
Il processo di snazionalizzazione dell’identità Ucraina, il soffocamento di qualsiasi resistenza all’economia collettivizzata con la deportazione, fino all’isolamento di villaggi e intere città, stringe un’intera nazione nella morsa della carestia con la violenza dei saccheggi, le pene e le esecuzioni forzate contro chiunque si opponga. Il riconoscimento dell’Holodomor ha quindi un significato identitario ben preciso di cui è utile parlare proprio oggi, per quel processo di deucrainizzazione in corso, che ha riesumato orrori mai riconosciuti, con metodi, strategie e obiettivi molto simili.
Se il Parlamento Europeo ha riconosciuto l’Holodomor come crimine contro l’umanità nel 2008, l’occidente europeo ha tardato a formalizzarlo. L’Italia è tra i paesi che ha fatto maggior resistenza, per una disattenzione storica nei confronti dei crimini sovietici e per una preoccupante sovrapposizione tra forze post-fasciste e veterocomuniste nella “solidarietà”, anche attiva, manifestata nei confronti del terrorismo russo scagliato contro l’equilibrio dell’Ucraina a partire dal 2014 e ben dettagliato nella preziosa intervista che la regista Maryna E Gorbach, autrice del film Klondike, ha recentemente concesso a indie-eye cinema.
Tra il 2010 e il 2011 Igort pubblica due “Quaderni” dedicati al mondo post-sovietico. Due reportage distinti ma assimilabili per metodologia. Al centro di “Quaderni Ucraini” e “Quaderni Russi” c’è la forza testimoniale, quell’avvicinamento alla gente comune che consente all’artista cagliaritano di comprendere dall’interno le mutazioni di una terra e l’emersione di un nuova brutalità di regime, camuffata dietro le logiche mercatiste delle democrazie globali, ma strettamente connessa alle violenze del passato.
Oblomov Edizioni ha recentemente ristampato entrambi i volumi con la cura dei materiali che contraddistingue le pubblicazioni della casa editrice bolognese.
“Quaderni Ucraini” e il successivo lavoro di Igort, nascono da una lunga permanenza tra Ucraina, Russia e Siberia, dove il reportage conduce l’autore a definire la prassi documentale come parte di un processo in divenire. L’Holodomor ha una posizione centrale, ma diventa occasione per ricostruirne l’orrore e l’ideologia criminale, attraverso le immagini ancora vivide nel cuore dei sopravvissuti al genocidio, rizoma che si estende in forma transgenerazionale e raggiunge il presente.
Alle storie di Serafina, Nikolay, Maria, nati tra il 1925 e il 1928, fanno da contrappunto una serie di approfondimenti storici che Igort assembla con la forma della graphic novel e scegliendo l’inchiostrazione bianconero, per aprire una finestra più strettamente documentaristica, desunta dal raro materiale fotografico disponibile, qui trattato con il lessico visuale del cinegiornale.
La tricromia che prende vita dalle testimonianze dirette, è uno straordinario rovesciamento del realismo socialista. Il tratto immerge i minimi dettagli nell’evanescenza del ricordo, quasi per dischiudere un’anti-epica dolente e spettrale. Il sogno collettivo diventa l’incubo, vitreo, di un’individualità negata.
Serafina Andreyevna lotta con l’oblio, e Igort disegna gli ultimi quadri delle sue memorie registrate nel marzo del 2009, come ombre lontane: bambini destinati alla morte con lo stesso colore della fuliggine, oppure una sagoma che si confonde con i toni della terra bruciata.
“Quaderni Ucraini” trattiene allora la descrizione di un paese anche attraverso l’impressione cromatica, irrimediabilmente spinta verso la desaturazione. Un metodo che investe l’azione del testimone di una connotazione spirituale, mentre il sol dell’avvenir emette una luce livida, mostrando l’orizzonte di una metafisica negativa.
Nella successione di testimonianze quella di Nikolay Ivanovich, nato nel 1939, e le fulminee pagine sulle conseguenze del disastro di Chernobyl nella vita di tutti i giorni, occupano, per sostanza e qualità, lo spazio del saggio politico esperito con il linguaggio di poesia.
Igort racconta le origini di un processo di cancellazione identitaria, non solo attraverso il radicamento alla terra inseguito per anni, ma rilevando l’immagine più fosca del futuro in quelle celebrative riesumate dall’apparato al potere. Il popolo, come Serafina, diventa un ombra senza più luce, rispetto alla tonitruante figura votiva di Stalin, esposta il primo aprile 2010 nelle piazze principali di Mosca.
Quaderni Ucraini, le radici del Conflitto – di IGORT
EDITORE: OBLOMOV EDIZIONI
COLLANA: GOULD
PAGINE: 176 / COLORI
FORMATO: 17×24 cm
RILEGATURA: BROSSURA
ISBN: 978-88-85621-98-5
PREZZO: € 20,00
ACQUISTALO SUL SITO DI OBLOMOV EDIZIONI
I Quaderni ucraini sono la prima parte di un dittico dedicato ai paesi dell’ex Unione Sovietica. Igor ha trascorso quasi due anni tra Ucraina, Russia e Siberia raccogliendo le parole dei testimoni e dei sopravvissuti di un passato terribile, che oggi si trovano a essere gli smarriti protagonisti di un presente ancora più incerto. In brevi capitoli, i ricordi degli ucraini ricostruiscono un periodo importante della storia del XX secolo e aiutano a comprendere la situazione di un paese nel quale un presente inquietante si è sostituito alla terribile eredità staliniana, dove la corruzione dilaga e gli omicidi hanno preso il posto dei gulag.
Igort dialoga e soprattutto ascolta e raccoglie, con umanità e rispetto, le storie delle persone in carne ossa incontrate nell’ex URSS.
Quaderni ucraini è un libro partecipe, che inevitabilmente finisce per cercare di rispondere – sulla base dell’esperienza quotidiana di quei mille invisibili protagonisti della storia che sono gli uomini e le donne comuni – alla domanda: a vent’anni dalla caduta del Muro, cosa resta di questa feroce epopea fatta di grandi speranze e di immani tragedie collettive?
Igort, nome d’arte di Igor Tuveri, è personalità poliedrica di artista. Autore prolifico di graphic novel pluripremiati, regista, illustratore ed editore, è anche autore di racconti, romanzi e musiche.
È stato il primo occidentale a disegnare un manga in Giappone e ha pubblicato su tutte le più prestigiose riviste italiane e internazionali. Nutrendosi di lunghe permanenze in Giappone e nei paesi dell’ex Unione Sovietica, ha maturato uno stile espressivo che unisce le peculiarità del graphic novel, di cui è maestro riconosciuto, e del graphic journalism, diventando una voce tra le più originali del panorama artistico internazionale.
Ha debuttato alla regia con il film “5 è il numero perfetto”, tratto dall’omonimo fumetto. Premiato al Comicon come migliore disegnatore del 2016, a Lucca Comics come migliore autore 2016, Premio Napoli per la diffusione della cultura italiana. Premio Romics alla carriera 2017.