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Rimini di Ulrich Seidl: recensione #Berlinale72

La riviera d’inverno, uno squallido cantante: Seidl torna in gran forma. La recensione di Rimini in concorso alla Berlinale 2022

Il titolo di lavorazione di questo ritorno di Ulrich Seidl al film narrativo era Böse Spiele, letteralmente giochi crudeli, con Spiel che può indicare anche una recita, una messinscena. Teatralissima, infatti, la figura del protagonista Richie Bravo (Michael Thomas, seidliano di ferro), interprete austriaco di canzonette melense che si è fatto un nome sulla riviera romagnola e lì vive, ormai ultrasessantenne, tra un’esibizione in qualche balera – o nella sala riunioni di un albergo fuori stagione – e, più spesso, visite romantiche a fan sfiorite, pronte a pagare per trasformarsi in decadenti starfuckers.

Film amarissimo, afelliniano e amorale, Rimini segna il ritorno alla forma per il regista austriaco, al solito coadiuvato in sede di scrittura da Veronika Franz. Le atrocità da mondo movie di Safari sono lontane, così come le ambizioni filosofeggianti della trilogia del Paradiso .

Qui Seidl fa Seidl, colonizza la cittadina romagnola in pieno inverno mediante uno scouting geniale dei luoghi per le riprese, e soprattutto scommette per la prima volta su un personaggio centrale, maschile, spalmato su centoventi minuti di montato. Era dal mediometraggio documentario Der Busenfreund (1997) che non accadeva, e in questo senso la scommessa è vinta: Rimini è “divertimento senza confini” crepuscolare, controverso e sfacciato in puro stile Seidl – con qualche sbavatura.

A cominciare da un dialogo notturno in tema di incesti e pedofilia che vuole choccare a tutti i costi, proseguendo per un improbabile ricatto di revenge porn e finendo con l’uso decorativo dei rifugiati, letteralmente sparpagliati nel paesaggio se neri, e ridotti a strumento di vendetta nei confronti di Richie se siriani.

Vedere il film per credere. In compenso, fanno breccia un paio di scene commoventi legate al fine vita. Segnali d’empatia che da Seidl non ci si aspetterebbe. Sul piano contenutistico il film è un anti-Settimo cielo (Andreas Dresen, 2008) per come inscena il sesso tra persone anziane, eppure questa sua negatività trova uno sbocco spiazzante nella figura del padre del protagonista, ultima interpretazione dello straordinario attore austriaco Hans-Michael Rehberg, capace di farci provare disgusto, farci ridere e farci piangere nel giro di una manciata di scene che portano alla conclusione di questo viaggio d’inverno.

Caso rarissimo di pellicola riminese senza un millisecondo di dialetto romagnolo, il film di Seidl e Franz spicca anche per la comparsata di Georg Friedrich nella sequenza iniziale in Austria e per la fotografia Wolfgang Thaler, funzionale al senso del regista per i tableaux.

Su Spotify manca una playlist dedicata, con titoli laceranti come Amore mio, Emilia o Mein Freund Winnetou. In compenso, per quanto sembri una bufala, si può prenotare il vinile.

Rimini di Ulrich Seidl (Austria-Francia-Germania 2022, 115 min)
Interpreti: Michael Thomas, Tessa Göttlicher, Hans-Michael Rehberg, Claudia Martini, Natalya Baranova, Silvana Sansoni, Rosa Schmidl
Sceneggiatura: Veronika Franz, Ulrich Seidl
Fotografia: Wolfgang Thaler

https://youtu.be/LdhQG86g1J4
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Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati
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