Si sente la mano delle sorelle Coulin nell’ultimo lavoro di Eric Toledano e Olivier Nakache, non tanto perché “Samba” sia un oggetto completamente alieno rispetto alla filmografia dei due autori francesi, quanto per il modo in cui il contributo alla sceneggiatura di Delphine (autrice anche del romanzo Samba pour la France) e Muriel sembra traghettare il film nello spazio liminare tra commedia e cinema della realtà che, come in 17 ragazze, evidenziava il contrasto tra gli ostacoli, anche architettonici, della città e i processi identitari, collettivi e individuali, che questa trattiene.
Alla suburbia di Lorient, spazio sospeso tra lo sviluppo post industriale e il desiderio di riappropriazione del proprio corpo sullo sfondo di un’architettura ostile, si sostituisce la dimensione precaria e possibile della metropoli.
Qui Samba (Omar Sy) vive d’espedienti entrando e uscendo dai confini della clandestinità imposta dalle leggi dello Stato. Lo sguardo di Toledano e Nakache, guidato dalla scrittura delle Coulin non è meno preciso di quello durissimo di Olivier Masset-Depasse e del suo Illégal dove l’illegalità è una mostruosa invenzione politica che spinge gli individui in una terra di nessuno, a causa di una sospensione del diritto che è l’unico vero fenomeno fuori dalle leggi. Questo, in “Samba” viene quasi sempre colto nello spazio combinatorio della commedia, come nella sequenza in cui Omar Sy, libero ma con in mano un foglio d’espulsione, insegue un aereo durante il decollo, lasciandosi alle spalle le sbarre del centro di identificazione e ironizzando sulla diretta contiguità tra lo spazio legale e quello definito come clandestino.
Ecco perché, pur nella semplicità delle situazioni, la città filmata da Toledano e Nakache diventa quella nascosta verticalmente verso l’alto (i tetti) o il basso (i sotterranei) come unica dimensione di sopravvivenza continuamente riconfigurabile; Samba e l’amico finto-brasiliano Wilson (Tahar Rahim) scappano sui tetti, si confondono con il personale della security, accettano lavori che lo stesso proibizionismo di stato fornisce loro attraverso l’attività sul bordo delle associazioni di sostegno e integrazione, i cui dipendenti sembrano fornire un’interpretazione alternativa all’assenza di strumenti giuridici adeguati.
La commedia diventa allora l’unica via possibile come continua ri-messa in scena di uno spazio urbano negato; le vertigini di Samba e il balletto di Wilson agganciati ad un grattacielo sul praticabile per pulire i vetri; la fuga sui tetti, la costruzione di un luogo di condivisione sociale “altro” come quello tra operatori e immigrati, evidenziato dai momenti di danza.
Anche il lavoro sul personaggio interpretato da Charlotte Gainsbourg, sembra una lenta erosione degli stereotipi associati ai personaggi frequentati dall’attrice francese per favorire l’innesto tra nevrosi e luminoso erotismo; tutto il progressivo avvicinarsi tra Alice e Samba, così come quello tra Manu (Izïa Higelin) e Wilson, è animato dallo stesso contrasto tra legalità e illegalità che si riverbera nell’organizzazione dello spazio scenico; sempre con i mezzi della commedia, Toledano e Nakache si servono della Gainsbourg per accentuarne la goffaggine, l’inadeguatezza, l’impaccio, lo stare a cavallo tra due mondi e due modi rappresentativi.
È una sospensione, al netto di qualche ingenuità, di cui i due autori francesi si prendono carico, senza cercare una conciliazione obbligata, ma rischiando anche un certo disequilibrio assolutamente vitale; del resto, lo spazio individuato attraverso le continue vie di fuga, rimane una dimensione irrisolta in quell’incontro davanti alla stazione degli autobus dove Samba sta per lasciare il paese insieme allo zio; nella dimensione intima e allo stesso tempo pubblica dell’incontro tra il ragazzo senegalese e Alice c’è il fiato trattenuto di un presente vissuto sul limite.