domenica, Dicembre 22, 2024

Sea Sparkle di Domien Huyghe: recensione – Berlinale 73, Generation Kplus

Film di debutto per il belga Domien Huyghe, che nella sezione Generation Kplus della Berlinale porta un racconto autobiografico sulla relazione tra infanzia ed elaborazione del lutto. La recensione

Domien Huyghe proviene dall’esperienza formativa e laboratoriale del Filmlab torinese e lo stesso Sea Sparkle, suo primo lungometraggio, è stato finanziato in un contesto di ricerca molto simile, legato allo sviluppo di progetti finanziati che gravitano intorno al mondo della pre-adolescenza. Il debutto del regista belga va quindi collocato nell’ottica del cinema per ragazzi non solo per i temi, ma anche per la capacità di accordarli ad un linguaggio legato all’esperienza diretta dello sguardo infantile.

La dodicenne Lena perde il padre insieme a quelli di amiche e famiglie a lei vicine, dopo il tragico affondamento del peschereccio coordinato dall’uomo. Le circostanze non sono chiare e innescano una serie di interrogativi sulla gestione stessa della spedizione, la cui intensità colpisce con forza la stessa Lena, l’unica che non accetta spiegazioni razionali e accomodanti sulla scomparsa del padre. Convinta che la responsabilità dell’incidente sia da attribuire ad un mostro marino sconosciuto, ingaggia una vera e propria avventura alla ricerca della verità, coinvolgendo la sua migliore amica e un ragazzo che assiste il lavoro della madre all’acquario locale.

Girato sulla costa belga a Ostend, città dove Huyghe è cresciuto insieme alla sorella, co-sceneggiatrice del film, ripercorre un tracciato autobiografico, ma allo stesso tempo costruisce una morfologia dello spazio distante dai racconti di ambientazione marina, per la particolare struttura del luogo, dove l’ampia passeggiata occupata da strutture ricettive, si estende lontano dall’acqua verso agglomerati e arterie di una vera e propria esperienza urbana.

Su questo contrasto, il regista belga imposta una relazione tra interno ed esterno, dove il mare stesso rappresenta un’eccedenza rispetto al ventre di cemento che accoglie la vita e le attività quotidiane dei ragazzi. Insiste allora sulle abilità di Lena con lo skate, per evidenziare un dialogo comune a mille altre collocazioni suburbane, insinuando una percezione ostile della distesa acquatica, vero e proprio animale multiforme che inghiotte la vita e non la restituisce.

L’unica resistenza possibile è opporre la fantasia al dolore, sfida all’indifferenza del reale che si materializza in termini fisici, come espansione immaginale dello spazio quotidiano. Lo scontro con questo Moby Dick dell’anima viene confinato negli ultimi minuti del film, mentre la lotta vera e propria occupa la conciliazione quotidiana tra il mondo invisibile e la vita nella città.

Con l’incedere di un piccolo film d’avventura, i ragazzi sfrecciano negli skate park, si interrogano sulla biologia degli abissi davanti alle vasche di un grande acquario, esplorano il relitto del peschereccio affondato, sospeso in un grande cantiere. Il luogo dove tutto può accadere, più del mare, è la città con tutte le sue aperture, trappole e transizioni.

L’acqua trattiene invece tutto ciò che l’immaginario può costruire, restituendo con resti e relitti, la simbologia di un codice arcano, incluso quello che descrive l’esperienza della morte. Questa non ha forma, se non come luccicanza.

Sul fenomeno della bioluminescenza Huyghe fornisce alcuni indizi sin dall’inizio, quando Lena visita l’acquario cittadino per la prima volta. Ma non è la dimensione scientifica a interessarlo, quanto la capacità di trasfigurare quell’eccezionale capacità degli organi fotofori di produrre la forma inafferrabile della luce. Un disegno che può essere mostruoso, ma anche l’immagine di un mistero incuneato tra la vita e la morte, nascosto nei recessi stessi della coscienza.

L’esperienza di Lena con la morte, rispetto al rifiuto categorico di affrontare il discorso da parte degli adulti, rappresenta un superamento del dolore inscritto nel ciclo stesso degli organismi che abitano gli abissi.

Huyghe prende per mano gli spettatori di due generazioni molto distanti, trattandoli alternativamente come adulti e come bambini allo stesso tempo. Lo fa con un linguaggio semplificato e ridotto all’essenziale, dove il mistero è materialmente radicato nella manifestazione del fenomeno, per come si presenta all’occhio che lo riceve.

Il mare, a un certo punto, non è più un mostro oscuro che potrebbe inghiottire nel buio i colori della città, ma una potenziale porta di luce, spalancata su ogni forma.

Sea Sparkle di Domien Huyghe (Zeevonk, Belgio, Paesi Bssi 2023 – 98 min)
Interpreti: Saar Rogiers, Dunia Elwaleed, Sverre Rous, Valentijn Dhaenens, Hilde de Baerdemaeker
Sceneggiatura: Wendy Huyghe, Jean-Claude Van Rijckeghem
fotografia: Anton Mertens
montaggio: Peter Alderliesten

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

ARTICOLI SIMILI

IN SINTESI

Film di debutto per il belga Domien Huyghe, che nella sezione Generation Kplus della Berlinale porta un racconto autobiografico sulla relazione tra infanzia ed elaborazione del lutto. La recensione

CINEMA UCRAINO

Cinema Ucrainospot_img

INDIE-EYE SU YOUTUBE

Indie-eye Su Youtubespot_img

FESTIVAL

ECONTENT AWARD 2015

spot_img
Film di debutto per il belga Domien Huyghe, che nella sezione Generation Kplus della Berlinale porta un racconto autobiografico sulla relazione tra infanzia ed elaborazione del lutto. La recensioneSea Sparkle di Domien Huyghe: recensione - Berlinale 73, Generation Kplus