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September Says di Ariane Labed: recensione

Il primo film come regista dell'attrice greco-francese Ariane Labed è tratto dal romanzo di Daisy Johnson intitolato "Sister". September Says è interpretato dalle notevoli Pascale Kann e Mia Tharia, nella parte di due sorelle legate da una relazione morbosa e totalizzante. Visto in concorso al Festival di Cinema e Donne 2024. La recensione

È una coproduzione tra diversi paesi europei il primo lungometraggio della franco-greca Ariane Labed, e si inserisce perfettamente nel solco del nuovo cinema britannico, non solo per l’ambientazione tra Yorkshire e Irlanda, ma soprattutto per il modo in cui affronta i turbamenti dell’adolescenza nella relazione controversa con le figure genitoriali, territorio esaminato da alcune registe del Regno Unito con diverse prospettive.
Sembra allora ricreare dinamiche molto simili a quelle sviluppate nello splendido esordio di Luna Carmoon, senza la forza sciamanica che il cinema libero della collega è riuscito ad elaborare nello spazio di qualche corto, un film di lunga durata e alcuni videoclip.
Investe quindi di un’aura gotica la soggettivizzazione della suburbia che Charlotte Regan con Scrapper assegna alla sua giovane protagonista, ma esercita una trasfigurazione della realtà quotidiana molto simile nello spazio del gioco che ancora radica l’adolescenza nell’area dell’infanzia.
La simulazione è un prolungamento necessario del regime materno nel film di Ariane Labed e collide irrimediabilmente con le regole della socialità condivisa, rappresentata da tutte le declinazioni del mondo scolastico.
September e July sono due sorelle ideate dalla fantasia di Daisy Johnson nel suo recente romanzo intitolato “Sister”. Entrambe vivono con la madre e con le sue esigenze creative. Ed è proprio una delle sue fotografie ad anteporre fin dall’inizio una membrana interpretativa all’organizzazione del reale.
Il setting fotografico ideato dalla donna cita esplicitamente le gemelle di Diane Arbus riviste da Kubrick, ma soprattutto, al di là delle suggestioni visuali, determina una relazione abietta simile a quella tra Eva e Irina Ionesco, che Labed osserva con minore intensità e una distanza che predilige l’allestimento del teatrino grottesco.
Una connessione che rimane sullo sfondo, mentre le occorrenze narrative della fonte letteraria vengono dilatate, per concentrarsi fortunatamente sulle abilità performative di Pascale Kann e Mia Tharia nel loro gioco pericoloso di interdipedenza.
September costringe July ad una serie di prove basate sull’estremizzazione del concetto di sorellanza, creando di fatto tutti i presupposti per una relazione morbosa, dove il racconto di formazione di entrambe viene bloccato da una continua ricerca dell’una nel corpo, nei movimenti e nelle azioni dell’altra.
Le esperienze di Labed come attrice, in particolare nel cinema di Athina Rachel Tsangari, vengono assorbite completamente, per il modo in cui il punto di osservazione da cui viene disegnato lo spazio, consente ai corpi di riconfigurarne confini immobili e fissati.
In questa arena è il riferimento al mondo animale a legare in modo strettissimo September Says ad Attenberg. Non solo perché le protagoniste di entrambi i film amano guardare i documentari di David Attenborough, ma perché dall’osservazione etologica ricavano gli elementi di un linguaggio pre-verbale, come unica possibilità di fuga da luoghi accordati su precise regole di convivenza sociale.
I lombrichi allevati in un terrario, i due lemuri che improvvisamente invadono la cucina, i versi gutturali che le due ragazze mimano doppiando i personaggi televisivi, creano un ecosistema che dialoga su più livelli con la lenta ebollizione dell’esperienza sessuale.
September Says risulta allora un film molto esile sul piano degli snodi narrativi, ma ancora capace di ferire quando l’ingombrante bagaglio simbolico, spesso simmetrico rispetto agli eventi e soprattutto ai significati, lascia il posto ad una galleria di ritratti disturbanti e radicati nelle inquietudini più profonde di un processo identitario nel suo farsi.
Rimangono quindi alcuni momenti di grande libertà improvvisativa, dove una realtà indicibile emerge dallo scontro dei corpi e dal legame estremo delle due sorelle. È proprio questo ad indirizzarle verso la genesi di un’identità complessa, resiliente tra corpo e mente e finalmente al di fuori di ogni appartenenza genitoriale.

[Fotografie dell’articolo e poster fornite da ufficio stampa Davis & Co.Festival di Cinema e Donne 2024]

September Says di Ariane Labed (Francia, Germania, Grecia, Irlanda, UK 2024 – 100 min)
Sceneggiatura: Ariane Labed
Interpreti: Mia Tharia, Rakhee Thakrar, Pascale Kann
Fotografia: Balthazar Lab
Montaggio: Bettina Böhler

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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