Il rapporto tra la musica di Jóhann Jóhannsson e le immagini comincia molto presto; dopo un’esperienza di almeno quattro anni con produzioni di tipo teatrale, il musicista islandese compone nel 2000 la sua prima colonna sonora per il film di Robert Ingi Douglas intitolato The Icelandic dream. Da questo momento in poi alterna il lavoro per produzioni locali, tra film di finzione e sopratutto documentari, con la pubblicazione di alcuni album solisti slegati dal contesto cinematografico, incidendo per etichette come la Touch e la 4AD. Sono molte le produzioni con cui ha collaborato, da quelle europee fino al lavoro con il regista cinese Ye Lou per il quale ha scritto due colonne sonore, tra cui quella per Blind Massage.
Il suo primo lavoro per l’industria hollywoodiana arriva con McCanick, l’omonimo film di John C. Waller del 2013, anno in cui collabora per la prima volta con Denis Villeneuve scrivendo la partitura per Prisoners.
L’anno successivo lavora alle musiche per The Theory of Everything con le quali ottiene il premio BAFTA per la miglior colonna sonora, il Golden Globe e viene proposto per la candidatura all’Academy Awards. Rispetto alla colonna sonora per il film di James Marsh, Sicario, la seconda delle collaborazioni insieme a Villeneuve, rappresenta un ritorno alla forma più sperimentale dei lavori minimalisti ma oltrepassando quella stessa impostazione con un dialogo inedito tra orchestra e attitudini elettroniche, tanto che lo sfondo dronico della partitura sembra ottenuto dalla forzatura degli elementi acustici dell’orchestra in una direzione che assume le caratteristiche di un mostro sonoro a metà tra organico e inorganico, deserto e clangore post-industriale. Sicario è un lavoro che per astrazione descrive perfettamente quel senso di minaccia incombente che accompagna la flanerie negativa di Kate Macer, l’agente FBI interpretata da Emily Hunt nel film di Villeneuve.
Tra le colonne sonore più intense degli ultimi anni, quella di Jóhann Jóhannsson si avvicina solo in parte alla techno-orchestra di Hans Zimmer per il Rush di Ron Howard perché sviluppa un tracciato più astratto e sotterraneo trainato dall’incedere ossessivo di un battito.
Abbiamo rintracciato Jóhann Jóhannsson nella sua casa di Berlino per una lunga conversazione via Skype dove abbiamo parlato della sua collaborazione con Denis Villeneuve, che proseguirà anche per il prossimo Arrival; del suo rapporto con la scrittura, della relazione con le influenze folk e di quella tra orchestra e post produzione.
Prima di parlare del suo ultimo lavoro, Sicario, volevo farle una domanda più generale sulla collaborazione con Denis Villeneuve, anche perché mi sembra che stia diventando una cosa a lungo termine. C’è un metodo ricorrente che affrontate o cambia radicalmente per ogni progetto?
Credo che il mio lavoro con Denis Villeneuve si possa considerare in continua evoluzione. Ci sono due film all’attivo e ho appena cominciato a collaborare con lui al terzo, quindi è un lento processo di mutazione e non direi che questo sia da considerarsi come un vero e proprio metodo, tranne per il fatto che Denis mi coinvolge fin dall’inizio della lavorazione, facendomi leggere la sceneggiatura prima ancora che comincino le riprese, inoltre parliamo un po’ dei temi e di qualche idea embrionale. Dipende davvero dal progetto, come per esempio in questo nuovo, Story of your life, dove abbiamo discusso molto sulla forma che potrebbe assumere la musica, ma sulla quale non sono ancora sicuro delle previsioni fatte insieme, perché sarà necessario rivalutare il percorso quando vedremo le immagini definitive, in ogni caso siamo davvero all’inizio dell’intero processo.
Entrando nel vivo della musica scritta per Sicario, la prima impressione che si ricava dopo averla ascoltata senza le immagini del film, è quella di una tensione continua, una minaccia incombente che è molto simile all’esperienza visiva. Che tipo di approccio ha seguito durante il lavoro di scrittura; c’erano alcune idee di base? Ha cominciato a lavorarci solo a film ultimato?
Una parte di questo aspetto tensivo proviene certamente dalla lettura della sceneggiatura come le dicevo e dalla direzione che abbiamo deciso di prendere, discutendo su alcuni aspetti specifici. Allo stesso tempo ho passato molti giorni sul set per assorbire l’atmosfera del film e quella delle location, questo perché sono convinto che la musica provenga anche dal contesto e dall’ambiente, in questo caso dal deserto e da quel senso di svuotamento che ci arriva da questo bellissimo panorama. Quindi questa è un’origine fondamentale, che reagisce in modo diverso con la lettura pregressa della sceneggiatura e in seguito con la visione del film, perché in entrambi i casi le cose cominciano a muoversi quando è possibile metterle a fuoco.
E con l’orchestra? Questo sviluppo come avviene, c’è bilanciamento tra improvvisazione e scrittura, oppure tutto è già determinato?
Tutto è già scritto quando comincio a lavorare con l’orchestra. In generale cerco di avere ben chiara la partitura quando registro con l’ensemble. Allo stesso tempo sperimento molto con l’impianto orchestrale, perché c’è un lavoro preciso e costituito da numerose sessioni, legato alla registrazione, alla preparazione di tessiture sonore nella direzione della drone-music e alla ricerca di alcune tecniche avanzate di registrazione, per catturare quello che talvolta accade sulla scena e può essere sistemato e rielaborato anche quando l’orchestra sta facendo una pausa caffè. Anche perché mi piace molto elaborare nuove idee sul filo della spontaneità proprio quando lavoro con tutto l’ensemble. È solo una piccola parte ovviamente perché in ogni caso molto lavoro viene preparato e concepito in anticipo.
Riguardo la qualità dei suoni, mi incuriosiva il rapporto tra elementi tradizionali dell’orchesta e interventi elettronici, penso in particolare a “The Beast” e “Tunnel Music”, con quel suono di tipo quasi industriale davvero stupefacente, come è riuscito ad ottenerlo?
È una combinazione tra scrittura, drones e l’utilizzo delle percussioni che per questo lavoro è molto presente. In questo senso il risultato lo si deve molto anche ai processi di editing digitale e alla sovrapposizione di moltissimi livelli, non solo le performance dei tamburi ma anche la distorsione di alcuni take e soprattutto un lungo lavoro di post-produzione che è molto difficile da dettagliare nella sua interezza
Sicario Visual Soundtrack – Jóhann Jóhannsson
E in questo senso il rapporto tra elettronica e strumenti tradizionali, è cambiato nelle sue ultime produzioni per il cinema da Prisoners in poi? È una relazione che è andata assottigliandosi oppure viene assorbita dal suono complessivo del range orchestrale?
Dipende dai progetti. Per quanto riguarda Theory of everything per esempio, si tratta di una colonna sonora dall’impianto decisamente acustico, potresti tranquillamente proporla ad un’orchestra per una performance e suonerebbe più o meno uguale. Per quanto riguarda Sicario, al contrario, il suono è molto più prodotto e non potresti riprodurlo così facilmente dal vivo con un ensemble tradizionale, cambia quindi da film a film
Certamente, ma sembra che in Sicario lei spinga gli elementi dell’orchestra tradizionale verso qualcosa di peculiarmente elettronico, non tanto per i suoni ma per l’approccio e l’attitudine, è così?
Si credo di aver avuto l’opportunità di essere molto estremo nel modo in cui ho potuto affrontare scrittura e suoni, proprio per la natura del film, in questo senso non ho avuto alcuna restrizione nell’interpretare le sensazioni che mi hanno colpito e influenzato. Istintivamente la musica si è orientata in modo violento e astratto e quindi con la necessità di inventarsi un suono stratificato
In Sicario c’è una traccia che ha un tono diverso dalle altre, mi riferisco a “Melancholia”. C’è una tradizione specifica a cui si è riferito? Lo chiedo perché il brano sembra seguire i modi della musica folk..
Si ho lavorato con quella struttura che si trova nella musica innodica e più in generale in quella sacra. In questo senso si avvicina alla scrittura che ho affrontato per Prisoners. La struttura di molte tracce per quella colonna sonora è simile a questa ma la differenza risiede nel fatto che in “Melancholia” tutto si basa sul suono di un basso a sei corde che effettivamente rende il tutto molto più vicino ai modi della musica folk e che da un certo punto di vista richiama alla mente la tradizione spagnola, ma solo lontanamente perché l’armonia non si riferisce a quel contesto culturale specifico. Solo il modo in cui lo strumento viene suonato quindi, che è un arpeggio, può suggerire in forma più subcosciente che altro, la tradizione musicale messicana. Ma in questo senso, il mio lavoro è sottilmente folklorico, in forma del tutto sotterranea e allusiva ed è quindi solo uno dei livelli presenti nella partitura. Questo gli consentirebbe di stare ovunque, perché mi sono tenuto lontano da qualsiasi riferimento ai modi della latin music o dai suoni della tradizione ispanica.
Anche “Soccer Game” e “Alejandro’s Song” sembrano seguire questo percorso. C’è un lavoro preciso sulla voce umana nella direzione della musica sacra…
Il lavoro su “Alejandro’s Song” è stato costruito intorno al talento vocale di Robert Aiki Aubrey Lowe, un artista eccezionale con cui ho lavorato un paio di volte e insieme al quale in questo caso specifico ho sovrapposto diverse performance vocali. Robert ha uno stile molto personale e davvero unico perché utilizza la voce in modo stupefacente come fosse un vero e proprio strumento sfruttando un complesso uso delle armonizzazioni. Anche la sua estensione è incredibile, tanto da potersi tranquillamente muovere tra basso e tenore. Allo stesso tempo utilizza la tecnica in modo davvero personale e originale, per questo i brani a cui si riferisce sono stati costruiti basandosi soprattutto sulle sue performance.
Sempre a proposito di tradizioni, quanto della musica islandese influenza le sue partiture e in particolare ha influenzato la realizzazione di Sicario?
C’è un compositore islandese da cui mi sento particolarmente influenzato ed è Jón Leifs, un grande autore del ventesimo secolo. Ha lavorato moltissimo con i registri bassi e quelli estremamente alti, delineando un linguaggio musicale davvero unico. Ha composto anche molta musica che potresti definire come minimalista, scritta tra gli anni venti e i cinquanta. Ma la sua musica è in qualche modo strutturata a partire dal folk islandese, tanto che ha scritto molto basandosi sugli intervalli di quinta della canzone popolare che si eseguiva nei Parlour. Mi ha influenzato moltissimo e particolarmente per quanto riguarda alcune parti della musica composta per Sicario. Non è un’influenza esplicita, credo che sia in realtà molto sottile e nascosta, ma Leifs è effettivamente un compositore a cui mi riferisco.
Da un punto di vista più generale lei ha lavorato per produzioni diversissime anche in termini di collocazione geografica. Il suo approccio alla scrittura cambia in base al paese dove si trova a lavorare? C’è un tentativo di elaborare qualcosa che proviene da quello specifico bagaglio culturale, oppure non è un aspetto importante per lei?
Per me non è importante e preferisco capire il film in se stesso e quello di cui ha bisogno in termini musicali. Preferisco reagire al contesto con il mio linguaggio personale, non mi interessa in questo senso fare il “turista musicale”. Sono certamente interessato a tutte le culture musicali, ma davvero detesto quando nella musica si cerca di descrivere un colore etnico specifico con modalità esotiche, in questo senso cerco di stare molto lontano da rischi di questo tipo
Come è cambiato, se è cambiato, il suo lavoro sulla partitura dalle piccole produzioni a quelle più grandi?
Non ci sono stati grandi cambiamenti, la scrittura di una colonna sonora per quanto mi riguarda coinvolge processi molto simili sia che si tratti di una piccola produzione o di una più grande. L’unica differenza è che con produzioni più piccole spesso hai molto meno tempo a disposizione e ovviamente ci sono meno soldi. In questo senso ci sono delle restrizioni in relazione a quello che puoi effettivamente scrivere e alle forze strumentali che puoi impiegare. Quello che non cambia è il processo della scrittura
Ci sono nel suo modo di sentire la scrittura, compositori che sente più vicini, non necessariamente legati al mondo della musica per film?
È difficile descrivere quali siano le connessioni che sento più vicine. Generalmente cerco di forzare il mio percorso in una direzione originale, ma naturalmente sono in qualche modo influenzato da moltissimi compositori, provenienti da periodi molto diversi come per esempio tutte le esperienze della musica antica, di quella barocca, ma anche di quella tardo romantica. Mi piacciono moltissimo Beethoven, Brahms. Allo stesso tempo si potrebbero rintracciare nella mia musica come influenze più esplicite, quelle legate alla musica minimalista di autori americani come Steve Reich, Philip Glass oppure inglesi come Michael Nyman o Gavin Bryars. A questi potrei aggiungere alcuni musicisti dell’est come Henryk Górecki, Arvo Pärt. Allo stesso tempo sono molto interessato alla musica sperimentale come quella scritta da Alvin Lucier, La Monte Young, tutta la musica concreta, ma anche l’elettronica contemporanea e il Black Metal. Non potrei dire che ci sia una linea precisa che mi leghi ad uno solo di questi musicisti semplicemente perché credo di essere un prodotto di tutte le mie influenze
E in Sicario ha utilizzato un procedimento più astratto o naturalistico per descrivere le immagini. Mi sembra che l’orchestra sia forzata in direzioni inedite e nuove; mi è venuto in mente, a livello attitudinale, il lavoro di Hermann con gli archi e quello del primo Howard Shore per Cronenberg…
Mi piacciono molto le prime colonne sonore di Shore per il cinema di David Cronenberg come Videodrome, Scanners e Dead Ringers, e il modo in cui nelle prime due fondeva elettronica e orchestra era davvero molto in anticipo sui tempi. Ma penso anche che Ennio Morricone già negli anni settanta avesse fatto molto in una direzione altrettanto sperimentale lavorando con l’orchestra ma anche molto in studio, in questo senso certamente Morricone è un grande talento melodico ma sapeva come usarlo anche nel lavoro in studio. Lo stesso Hermann è certamente un punto di riferimento soprattutto per il lavoro su Vertigo e i suoi ultimi lavori come Sisters, Obsession anche se l’approccio è quello tradizionale che non si preoccupava troppo di lavorare in studio
In realtà ho fatto questo paragone non perché ritenga che ci siano delle similitudini esplicite con questi autori nel lavoro che ha svolto per Sicario , ma semplicemente perché credo che l’attitudine sia simile in una direzione creativa. In questo senso credo davvero che Sicario sia una delle colonne sonore più interessanti degli ultimi anni, è davvero uno strano mostro sonoro dove gli strumenti sono chiaramente distinti e riconoscibili ma allo stesso tempo non è chiaro da dove provenga il suono e come sia stato raggiunto quel determinato risultato timbrico
Grazie, mi fa molto piacere quello che dice. Era un risultato a cui tenevo molto quello di cercare un’essenza precisa per l’orchestra e allo stesso tempo elaborare una reazione chimica in studio. Molto di quello che ho fatto è frutto di un processo di editing e di un lavoro preciso su pro-tools che mi consentisse di creare un ambiente sonoro. Non è quindi tanto quello che è effettivamente scritto sulla partitura, che rappresenta certo il settanta per cento, ma ciò che è stato possibile trasformare con quel trenta per cento di lavoro in studio. In questo senso non c’è altro lavoro simile a Sicario tra quelli che ho realizzato.
Sarà possibile portare le tracce di Sicario dal vivo e cosa cambierà considerato il lavoro importante svolto in sede di post-produzione?
Non sarà facile portarlo dal vivo, anche se ovviamente potrò contare su una serie di tracce pre-registrate che possano fare da sfondo. Ci sono alcuni brani più facili da suonare dal vivo come “Desert Music” e “Melancholia” mentre altri avranno bisogno di essere ri-arrangiati per l’occasione.
Può darci qualche anticipazione sul lavoro che sta facendo per il nuovo film di Denis Villeneuve, Arrival?
Sono molto eccitato credo che sarà davvero un film bellissimo. Ho cominciato a registrare qualcosa la scorsa estate lavorando molto con le voci e con gli strumenti a fiato, utilizzando le tecniche di respirazione circolare con alcuni performers e quindi elaborando successivamente una sorta di tono senza fine come se si trattasse di un loop esteso. In questo senso è un lavoro che ha molto a che fare con il respiro, con la voce e con le caratteristiche umane del suono. Sono partito da qui, ma non so dirle esattamente dove mi trovo e che direzione prenderà il tutto.