domenica, Dicembre 22, 2024

Snowpiercer di Bong Joon-ho: la recensione

È l’anno 2031. La popolazione mondiale è ormai decimata, mentre una nuova era glaciale affligge il mondo. I pochi rimasti sopravvivono a bordo di un treno speciale perennemente in movimento. Ma al suo interno la società umana resta legata a quegli schemi sociali della divisione in classi: i più poveri sono costretti in misere condizioni in coda al treno, mentre i più ricchi vivono negli agi dei vagoni anteriori. Ben presto una rivolta capeggiata da Curtis sconvolgerà questo sistema, fino allo svelamento di sconcertanti segreti.

Snowpiercer è una fantastica metafora. Ma è anche un geniale espediente per condensare in un ristretto limite di spazio e tempo quelli che sono secoli di storia dell’umanità. Quello della “sacra locomotiva”, dove gli ultimi residui della specie umana ancora sopravvivono, non è nient’altro che un microcosmo, una riproposizione di quelle dinamiche sociali dalle quali l’uomo non riesce a separarsi, anche in un così tragico contesto post-apocalittico. Come quel filone del “western della diligenza”, che trovò in John Ford il suo massimo rappresentante, soprattutto con Ombre Rosse (Stagecoach), ma come ancora prima il racconto di Guy de Maupassant Palla di Sego, lo spazio limitato di un mezzo di trasporto in movimento è un efficace pretesto per delineare le relazioni tra le diverse classi sociali. Riferimenti testuali che non a caso dimostrano quanto questa condizione umana, e la consequenziale necessità di raccontarla, si protragga da sempre, fin dalla nascita della società, così come, nonostante il disastro apocalittico, tale condizione sopravviva sul treno del film di Bong Joon-ho. Forse perché inscindibile da quel costrutto sociale, dove l’ordine necessita del caos e la ricchezza della povertà, affinché il benessere venga percepito come tale.

Il classismo come sinonimo di equilibrio, quindi. L’esigenza di ricostituire la società umana passa necessariamente attraverso una ripristino di quest’ordine, di questa armonia. Come le creature dell’Arca di Noè, le specie umane vengono stipate nei loro appositi habitat: i ricchi nella prima classe, la media borghesia nell’economy e i poveri in coda, mentre tutto concorre ad affermare questo microcosmo elitistico. Anche e soprattutto la rivolta, fino alla rivoluzione, spesso fomentata dagli stessi gerarchi al solo scopo di donare nuova pelle al governo, lasciando immutata la sostanza.
Ma Snowpiercer, pur racchiudere tali esplicite riflessioni, si spinge oltre. Il film di Bong Joon-ho contiene in nuce altre più complesse considerazioni, fino a lambire quei luoghi della mente umana, dove ogni individuo affronta un viaggio. Ma non più quello circoscritto e ripetitivo dei binari, ma quello più mistico di una ricerca interiore. Una ricerca che passa attraverso la conquista di mete ed il raggiungimento di consapevolezze. La struttura del treno e della narrazione contribuiscono a rafforzare questo percorso di crescita, lì dove ogni ingresso ad un nuovo vagone da parte di Curtis e i suoi ribelli rappresenta il superamento di un nuovo livello, di nuove prove e nuove consapevolezze. Come livelli di gioco di un videogame d’avventura, i rivoltosi dovranno combattere contro nuovi nemici e superare nuovi ostacoli, fino all’ultima porta, all’ultimo “mostro” da sconfiggere: Wilford, il creatore della locomotiva, unico detentore di segreti e venerato come un Dio. È quindi una progressiva penetrazione dell’uomo misero, bramoso di conoscenza, fino alla testa del treno, in questa metafora dell’umanità che è Snowpiercer, fino al raggiungimento di un entità divina, creatrice. Ma Wilford è solo un Dio umano, creatore di una macchina dove ogni pezzo trova il suo incastro. Un Dio che ha una concezione dell’uomo alla stregua di un ingranaggio. Un Dio disumanizzante ed estremamente razionale, matematico come una logica ferroviaria. Ed in quest’ottica, il treno, ancora una volta, risulta un efficace simbolo espressivo.
Un vero e proprio melting pot culturale è la popolazione del treno, come anche gli accenni di Bong Joon-ho a testi e miti appartenenti alla nutrita memoria culturale dell’uomo. In tal senso un’allusione alla figura di Curtis come novello Prometeo è rafforzata da un’emozionante scena, in cui si imbastisce una staffetta tra i vagoni fino a portare la fiaccola ardente che sancirà la vittoria dei rivoltosi.
Da Tempi Moderni di Chaplin al western di Ford, il film di Bong Joon-ho è orchestrato magistralmente, riuscendo a generare un forte potere attrattivo nei più svariati target di pubblico. Violente scene di lotta dal gusto splatter, grottesche ambientazioni e romantici risvolti sono scandite dalle epiche musiche di Marco Beltrami, in cui predominano violini e trombe, sublime sottofondo all’ascesa di uomini dall’impresa eroica, alla conquista dei perchè.

 

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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