L’ultimo film di François Ozon viene promosso in Italia come un whodonit, ma dei dispositivi narrativi di Agatha Christie, Sotto le foglie ha solo alcuni aspetti del tutto esteriori, perché sceglie una drammaturgia più vicina ai romanzi di Georges Simenon, dove la descrizione minima della provincia colloca in secondo piano l’intreccio e il puzzle criminogeno, per privilegiare quel mistero sotteso dai volti, i gesti e le azioni dei personaggi.
La risoluzione rimane nelle possibilità del fuori campo, inscritta com’è in una complessa psicologia relazionale che emerge dal gioco delle tensioni familiari. Ancora una volta il territorio è quello legato alla rilettura del cinema di Chabrol, con una sceneggiatura originale condivisa con Philippe Piazzo, che trattiene alcune intuizioni dall’universo letterario di Ruth Rendell, scrittrice già utilizzata da Ozon come tramite comune con l’universo finzionale del grande regista francese.
Con queste premesse, Ozon ritaglia un film attraversato da crudele leggerezza, sulla notevole interpretazione di Hélène Vincent. Questa riesce a indirizzare il senso verso una riflessione struggente sul valore selettivo della memoria e sulla necessità dell’oblio nell’autunno delle nostre vite.
La ruggine che si è sedimentata tra Michelle e la figlia rimane nello spazio del non detto, anche se le origini diventano gradatamente più chiare attraverso le scelte delle due donne e le conseguenze che hanno determinato esistenze radicalmente diverse.
L’amore della nonna per il nipote viene raggelato da una madre distante, ostile alle premure di Michelle e più interessata ad ottenere la casa nella campagna Borgognona dove l’anziana signora vive da sola.
Nel perimetro dove tutte le famiglie si uniscono per dividersi implicitamente, quello di un desco conviviale, si verifica la prima e più importante rottura e soprattutto la sottile sovrimpressione tra casualità e predeterminazione del gesto. Una porzione di funghi velenosi, creduti innocui champignon, spediscono in ospedale la figlia di Michelle per una lavanda gastrica e separano la nonna da Lucas, l’adorato nipote.
Gli elementi del dubbio che potrebbero far pensare ad un crimine immaginato per riequilibrare rapporti famigliari compromessi, attraversano tutto il film, nonostante la bonomia con cui l’intero paese, incluse le forze dell’ordine, preferisce derubricare l’accaduto ad una comune svista.
Mentre la figlia sceglie la via radicale di una rottura ostinata, per ragioni che eccedono l’evento, Michelle è dilaniata dal dubbio e dalla confusione tra desiderio e memoria. Il suo dissidio risiede proprio in quel crocevia e Ozon compie un piccolo miracolo nel definirne tutte le possibilità sul volto spaesato di Hélène Vincent, incapace di assegnare a quella disgrazia una volontà precisa.
Ecco che in Sotto le foglie non c’è niente da scoprire o da rivelare, proprio perché la coscienza si inceppa tra le sabbie del dubbio, e la qualità decisiva dell’intenzione che disegna una traccia visibile su quei grani.
Quel segno è nelle conseguenze, ma queste non rivelano mai la determinazione del gesto, fuori campo prima e anche successivamente, quando la figlia di Michelle precipiterà dal terrazzo del suo appartamento parigino.
Vincent, il figlio della migliore amica di Michelle appena uscito di galera, diventa prole adottiva nel desiderio materno dell’anziana signora. Ciò che le viene negato dal giudizio severo della figlia naturale, può essere riscostruito entro i confini di questa famiglia allargata, che include l’uomo in cerca di riscatto nella società, la madre di questo e il piccolo Lucas.
La diffidenza di Ozon per la famiglia nucleare, costante del suo cinema, viene nuovamente affermata dalla ricostruzione di una collettività eccedente, dove l’amore è l’unico motore che possa stabilire combinazioni e unità.
L’elegia del buen retiro, dove poter ritrovare una connessione più stretta con la comunità, rispetto agli inganni della vita metropolitana che ha caratterizzato le vite indecenti, ma libere di Michelle e dell’amica Marie-Claude, è un modo per ricombinare la coscienza, sovrapporsi incessante di memorie abissali, pulsioni e desideri. E in questo abisso è del tutto impossibile rintracciare certezze e verificare un fondamento.
Rispetto alle dinamiche drammaturgiche che mettono lo spettatore in condizione di trovarsi in una posizione più avanzata della percezione assegnata dal racconto alle vittime potenziali, Ozon cancella ogni appiglio e insinua il dubbio che casualità e premeditazione, accidenti della vita e crimine, possano coesistere nella stessa cornice del desiderio.
Di nuovo Bataille, che per Ozon è un riferimento preciso nella definizione di un erotismo vicino alla trasfigurazione della morte, qui invece sollecitato per quell’equilibrio impossibile tra l’azione distruttiva di una pulsione e la sua opposta e coincidente funzione creatrice.
Meno architettato e chiuso dei suoi film sulla natura dell’erotismo e incentrati sulla rielaborazione psicoanalitica del doppio, Sotto le foglie è un piccolo film più aperto nella filmografia del regista francese. Fatto di obliterazioni, slittamenti, ambiguità e continue negazioni, interiorizza nello spazio e nell’estetica del racconto morale francese, l’idea che memoria e oblio concorrano all’organizzazione del vissuto, come specchio di una coscienza mutevole.
La dimenticanza allora non copre un crimine, ma filtra il flusso ottundente dei ricordi, aiutandoci a scegliere l’identità che preferiamo.
Sotto le foglie di François Ozon (Quand vient l’automne – Francia 2024 – 102 min)
Interpreti: Josiane Balasko, Garlan Erlos, Hélène Vincent, Ludivine Sagnier, Pierre Lottin, Marie-Laurence Tartas, Vincent Colombe, Sophie Guillemin, Malik Zidi, Sidiki Bakaba, Michel Masiero, Isabelle Mazin
Sceneggiatura: François Ozon, Philippe Piazzo
Fotografia: Jérôme Alméras