Lady D, la principessa Diana, corre per le enormi e lussuose camere di Sandringham House, residenza natalizia della famiglia reale britannica, mentre la musica dissonante composta da Jonny Greenwood (il chitarrista dei Radiohead) la accompagna nella sua disperazione. In quelle note a tratti eleganti e a tratti cacofoniche si condensa tutto Spencer, il nuovo film di Pablo Larraín in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.
Spencer sarebbe un biopic sulla chiacchierata consorte dell’erede al trono inglese, ma è un biopic non interessato a raccontare la vita della sua protagonista, bensì a mostrare il disagio da lei vissuto in un ruolo che era una prigione. Lo fa concentrandosi su una manciata di giorni a cavallo di un Natale durante il quale emerge la crisi del rapporto con Carlo Windsor.
Non vuole nemmeno essere una biografia storicamente accurata: ciò che Larraín racconta è immaginario, per quanto plausibile. Spencer non è quindi un biopic, non è un film storico. È un ritratto intimo, come ritratti intimi e non biopic erano due degli ultimi tre film del regista cileno, Neruda e Jackie (dedicato a Jacqueline Kennedy).
A tratti questa Diana, un’ottima Kristen Stewart, più che una donna depressa può sembrare un’adolescente ribelle, che si veste come le pare e non come dovrebbe, che arriva in ritardo, che mangia dal frigo e dà rispostacce.
E si può storcere il naso davanti a un film che sposa la solita visione sentimentale di Sua Altezza Reale Diana Frances Spencer, principessa del Galles, Duchessa di Cornovaglia e Duchessa di Rothesay. Vittima sì ma di un sistema a cui apparteneva. Proprio questo però dà un senso diverso al personaggio. Perché Diana è prigioniera del mondo marmoreo e astorico dell’altissima nobiltà inglese, ma facendone parte, non ha alcuna via di fuga.
Fuori non c’è un mondo dove scappare, e la sua prigionia è senza scampo. Se non nella morte, che non è raccontata ma aleggia per tutto il film, e quasi si può percepire il drammatico futuro negli sguardi di Carlo e della regina Elisabetta.
La tragicità della Diana di Larraín è questa, l’essere schiava di ciò che è e non può non essere.
Ecco dunque spiegata la splendida colonna sonora, nelle cui note risiede questo contrasto. La dissonanza non è tra Diana e la famiglia reale, ma nel dualismo di Diana stessa. Che corre sperando di fuggire, ma la sua corsa è destinata a rimanere all’interno del perimetro di Sandringham House.
Larraín riesce a essere molto raffinato in questi momenti, profondamente significativi nella ricchezza di dettagli sotterranei. Non lo è sempre e in Spencer tante sue scelte compromettono l’efficacia del film.
Le continue apparizioni come monito di Anna Bolena, moglie di Enrico VIII uccisa dal marito, sono un parallelismo gnomico scontato e maldestro, e spesso le troppe parole sottolineano didascalicamente ciò che avviene nella mente di Lady D.
Spencer è un film in bilico, come in bilico era ed è qui Diana. Il ritratto è di certo assolutorio e benevolo, generoso nei confronti di un personaggio raccontato senza ombre morali, ma che a un quarto di secolo della morte forse potrebbe essere riletto con uno sguardo meno fiabesco.
Non era però l’intento di Larraín, che esplicitamente nell’epigrafe prima dei titoli di testa dichiara la propria visione di questa storia: “Una favola tratta da una tragedia vera”. Ed è difficile non immergersi in questa visione intima di Lady Diana, raccontata come donna più che come principessa.
Spencer di Pablo Larain (Germania, Regno Unito – 2021 – 113 min)
Interpreti: Kristen Stewart, Timothy Spall, Jack Farthing, Sean Harris, Sally Hawkins
Sceneggiatura: Steven Knight
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Sebastián Sepúlveda
Scenografia: Guy Hendrix Dyas
Costumi: Jacqueline Durran
Musica: Jonny Greenwood