Il personaggio di Stella Vlaminck ha rappresentato una svolta nella carriera di Sylvie Verheyde. Nella forma dell’autofiction, dove elementi biografici innescano lo sviluppo di una narrazione libera rispetto al rispecchiamento, Stella è stato il primo vero successo per la regista francese, grazie anche all’anteprima veneziana, nell’ambito delle Giornate degli Autori edizione 2008. Dopo quattordici anni e una serie di film che hanno indagato l’adolescenza e la forza delle donne con grande coraggio anche per i linguaggi di volta in volta sperimentati, Verheyde riprende in mano la storia di questa bambina, figlia di due baristi, appassionata di Balzac, refrattaria alla disciplina dello studio e immersa in un contesto formativo crudo, difficile e attraversato da esplosioni di incredibile violenza. Quattordici anni nel nostro calendario solare, otto anni in quello finzionale, per ambientare il film nel 1984, poco prima che Stella affronti l’esame di maturità. Oltre l’avvitamento autobiografico e la collocazione temporale, “Stella est amoureuse” esce sapientemente dalla cornice obbligata della ricostruzione d’epoca, scegliendo un’aderenza fisica ai movimenti del cuore e dello spirito di una giovane donna di diciassette anni.
“La prima difficoltà nello sviluppo del film – ci ha raccontato Sylvie – era di trovare l’attrice adatta. Non era possibile utilizzare quella del primo film, perché nel frattempo aveva un’età che non era più giusta per la cronologia finzionale. Ho allora incontrato Flavie Delangle nella prima settimana di casting. Le ho chiesto di leggere un testo, ma anche di ballare. Questo perché volevo che il personaggio si esprimesse attraverso la danza. Nel film Stella non parla molto e si esprime soprattutto con il corpo. Non si trattava quindi di capire se fosse in grado di ballare bene o meno, ma se potesse esprimersi fisicamente“
Flavie Delangle dimostra grande intensità, in un film dove il movimento, gli sguardi e i continui ingressi negli spazi della città, sono scanditi da un’ansia indomabile. Già protagonista della sesta stagione di Skam Francia, nella parte di Lola Lecomte, l’attrice viene anche da dieci anni di ginnastica artistica: “C’è stata molta intesa tra di noi – ha aggiunto la regista – e l’aspetto più forte per me, era che non fosse di Parigi, ma legata alla provincia francese. Non volevo infatti che il personaggio avesse quelle caratteristiche parigine un po’ troppo abusate nel cinema contemporaneo“
Sylvie Verheyde costruisce quindi tutto il cast intorno alla presenza di Flavie, offrendole possibilità di modulazione e di scelta, tanto da distaccarsi dalla sceneggiatura originale, basata su elementi autobiografici: “In questo senso – ha aggiunto – avevo inizialmente pensato in fase di scrittura anche ai miei amici, alle persone che hanno fatto parte della mia vita. Al contrario ho costruito il cast intorno a Flavie. Mancava il personaggio maschile ed è stata proprio Flavie a proporlo. Abbiamo soprasseduto sulle carenze tecniche e attoriali del ragazzo per l’alchimia che c’era tra loro due, lavorando quindi su questo livello di complicità“
La relazione tra André e Stella è alimentata dal gioco di sguardi e movimenti che si attivano sulla pista da ballo. E funziona proprio su quel livello, per infrangersi quando André cerca di far entrare la ragazza nel suo spazio musicale creativo, già appesantito dalla parola e privato dalla spontaneità del gesto.
Gli anni ottanta quindi sono osservati da Stella senza adesione a quei codici temporali e culturali troppo stretti: “Ho lasciato agli attori la possibilità di creare le loro condizioni, affinché si immergessero nei personaggi e potessero recitare la storia con la massima libertà. L’unico divieto rispetto a questa spontaneità incoraggiata era quello di utilizzare parole troppo contemporanee, per non creare quel cortocircuito con il linguaggio di quegli anni, che sarebbe stato subito percepibile“
L’obiettivo del film è quello di comprendere e trasmettere l’energia dei diciasette anni, dove tutto è importante e subito dopo perde di interesse: “Non volevo fare il film di un adulto che vuol imporre uno sguardo preoccupato sulla vita degli adolescenti – ha specificato – perché preferivo immedesimarmi nel loro modo di sentire“
Les bains douches è uno dei simboli della nightlife parigina e negli anni ottanta diventa tra i luoghi più ambiti dagli artisti, i creativi, gli stilisti e chiunque lavorasse intorno al Cinema e alla musica. La discoteca è il centro del film di Verheyde, ma viene presentata fuori dall’aura mitologica che usualmente si racconta, con un’aderenza maggiore a ciò che realmente ha rappresentato, ovvero un meltin’pot adesso impensabile: “Stella è cresciuta in un cafè. Un luogo che riproduce lo schema di un teatro. Ci sono il palco, le quinte e gli avventori/attori che arrivano ed escono di scena. Il momento della maturità per Stella è quello dove non capisci più se i tuoi modelli sono ancora i genitori e se possono esserlo gli amici. La discoteca allora diventa uno spazio di formazione, come un teatro dove i ruoli sociali sono ridotti e dove puoi liberamente incontrare gli altri. Ci si può reinventare al suo interno. In questo senso l’approccio è positivo perché i rischi della notte Stella li conosce già, li ha incontrati nella vita notturna del Cafè, non ha quindi quell’attrazione verso il male, lo ha integrato. Allo stesso modo, ballare è un modo di esprimersi e per reinventare la propria capacità, trovando un ruolo nel palcoscenico della pista. Les bains douches era un luogo assolutamente interessante da questo punto di vista, perché anche se era presente il dress-code, questo era dedicato a chi sapeva inventarsi con creatività il proprio outfit, senza che fosse brandizzato da Gucci o da qualsiasi altro stilista. C’era assoluta libertà. Oggi tutto è cambiato, le discoteche sono molto settoriali, mentre allora tutto era più mischiato, dalle grandi vedette alla gente della strada“
Una domanda che viene fatta molto spesso a Sylvie Verheyde è se Stella sia come Antoine Doinel e se vi sia il progetto di una serie di film a lei dedicati “Il personaggio è certamente autobiografico – ha chiarito Sylvie – e secondo questa linea dovrebbe finire per fare cinema, se ci fosse un follow up. Ma non ci ho pensato e nel momento in cui ho fatto il secondo film non era affatto nell’aria. Certo, dovessi immaginarmi il futuro di Stella come regista, dovrei comunque fare i conti con la prospettiva che si è aperta grazie alle piattaforme, che hanno completamente cambiato il senso di ciò che avevo cominciato a fare nel mondo del cinema. Ecco, sarebbe interessante indagare questo aspetto nel cambio di prospettive“
Stella est amoureuse si apre e si chiude in Italia. Una parentesi attinente alla biografia di Sylvie, che visitò negli anni dell’adolescenza il mare di Gallipoli. La musica stessa, caratterizzata per esempio anche da un brano di Drupi che introduce il film, fa parte del mondo personale di ascolti che hanno attraversato i suoi diciassette anni: “cercare la musica non è stato facile, perché nella necessità di inserire quella che amavo e che era rappresentativa per me, ho dovuto fare i conti con la difficile accessibilità di alcune canzoni in termini di diritti, i cui costi sono esponenzialmente saliti da quando sono in scena le piattaforme, che hanno evidentemente meno problemi di soldi. Ho dovuto quindi cercare cose più particolari e meno costose, ma che fossero comunque rappresentative“
Per approfondire, la recensione di Stella est amoureuse
[Foto dell’articolo fornite da Davis & Co. Ufficio stampa – press kit France Odeon]