giovedì, Novembre 21, 2024

Sur l’Adamant di Nicolas Philibert: recensione, Berlinale 73 – Concorso

Philibert confeziona il primo capitolo di una trilogia documentaria sulla salute mentale. Sur l'Adamant, la recensione del film di Nicolas Philibert, in concorso alla 73/ma edizione della Berlinale

Dal luglio del 2010 c’è un barcone attraccato lungo il Quai de la Rapée, riva destra della Senna, a un tiro di schioppo dalla Gare de Lyon. Si chiama l’Adamant è un centro diurno per matti. La nave dei folli. Due termini né eleganti, né corretti né tanto meno inclusivi che nel film non si sentono mai. A patto di non volerli usare per riferirli a noi. Perché la tecnica immersiva di Nicolas Philibert riesce a calarci in qualsiasi ambientazione, sia essa il “paese dei sordi”, la classe di una scuola elementare, la gabbia di Nénette o gli studi di Radio France senza cuciture dialettiche. Non c’è una linea divisoria, qualitativa, tra noi e loro. Così come in questo documentario si fa fatica a distinguere i medici e i caregiver dai pazienti.

Philibert si è imbattuto nell’Adamant dopo aver ricevuto dalla struttura l’invito a partecipare al loro workshop cinematografico, “le rhizome”. Un nome che è un omen, dato che il regista nel 1997 ha girato un film, La moindre des choses, sulla clinica La Borde, dove per decenni ha lavorato Félix Guattari. E questo ritorno al tema della psichiatria, o meglio delle psichiatrie possibili, è solo l’inizio di un lavoro in tre parti che sta tenendo impegnato Philibert.

Con l’aiuto fattivo di Linda De Zitter dietro la macchina da presa, il regista ha fatto vari sopralluoghi sul barcone tra maggio e novembre 2021 (nel film le mascherine abbondano), cercando di non risultare mai invasivo. Le riprese sono poi terminate nel 2022. Il tema centrale di Philibert è il linguaggio, da ascoltare, osservare, studiare con devozione.

Tradotto in termini cinematografici deleuziani, questo studio non è solo sonoro (cfr. Michel Chion) ma anche, e soprattutto, portato avanti con i primi piani. Con la viseità imposta da Dreyer. Nelle mani di altri registi, un documentario del genere scadrebbe subito nel grottesco. Il tocco gentile di Philibert alterna invece momenti di osservazione quotidiana a vere e proprie interviste, e solo in un caso si lascia andare a uno zoom, che pare un abbraccio.

Sur l’Adamant non è il repertorio dei matti della città di Parigi. Certo, la malattia si vede, si parla chiaro e tondo di psicoformaci, malgrado il clima egualitario resta una distinzione organizzativa tra paziente e medico curante.

Il centro ha anche un cineforum, chiamato Travelling, e uno dei pazienti, Frédéric Prieur, ama introdurre i film. Prieur ha scritto un libro intitolato La rivolta dei legumi ed è convinto che “quel diavolo di Wenders” in Paris Texas parli di lui e di suo fratello, peraltro identico a Van Gogh (nella versione di Kirk Douglas).

Materia perfetta per barzellette facili, eppure qui si ascolta ogni voce con empatica, autentica attenzione.

I titoli di coda accreditano tutte le performance musicali dei protagonisti, a partire da quella iniziale, in medias res, mozzafiato, semplicemente perfetta, de La bombe humaine dei Téléphone.

Sur l’Adamant di Nicolas Philibert (Documentario, Francia-Giappone 2022, 109 min)
Fotografia: Nicolas Philibert
Montaggio: Janusz Baranek, Nicolas Philibert
Sound Design: Érik Ménard
Suono: François Abdelnour

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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