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Surrounded di Laura Girolami e Federico Patrizi: la recensione

Da qualche parte
Aprile 2013

Surrounded di  Laura Girolami e Federico Patrizi dà il suo incipit con delle coordinate dal chiaro valore indiziale. Il luogo dove si svilupperà l’azione è infatti una villetta isolata in un luogo indefinito, persa in un paesaggio rurale, quasi un ambiente idilliaco, dietro cui si annidano però forze invisibili, fantasmi che riemergono dal passato, riaffiorando dalla coscienza e riversando il loro odio sulla fragile e vulnerabile donna. Mentre la casa dagli enormi vetri trasparenti crea un cortocircuito tra la dimensione intima e sicura del guscio casalingo e l’esposizione allo sguardo estraneo.

Maryann è un’insegnante incinta rimasta sola in una casa isolata, dove ben presto incomincerà a percepire la presenza di minacciose figure che sarà costretta a fronteggiare. La sua condizione gestante crea in questo senso una sorta di mise en abime, in cui il feto nell’utero rispecchia la condizione ossimorica di sicurezza e vulnerabilità della donna assediata in casa.

Il film si carica di atmosfere e soluzioni che rimandano al classico sottogenere horror dell’home invasion, ma allo stesso tempo, pur rifacendosi al cinema americano di Wes Craven (Scream) e John Carpenter (Halloween) o anche al Dario Argento di Suspiria, la coppia di registi arriva quasi a risemantizzare le trovate tensive, donandone un senso e una simbologia differente, e a tratti più profonda.

Ma Surrounded è soprattutto un film di recessi e riflessi. Una dimensione più mentale che fisica, in cui si attua uno sdoppiamento tra l’osservatore e l’osservato. L’incubo ad occhi aperti di Maryann sembra quindi la materializzazione degli inconfessati fantasmi del rimorso che riemergono a tormentarla, fino a spingerla alla fatale autodistruzione. La condizione di solitudine in cui è costretta è solo il mezzo che la porterà ad affrontare i suoi mostri, i suoi rimpiante e le sue mancanze nel ruolo da insegnante, che si riflettono e manifestano non a caso nel momento del suo apprestarsi al ruolo materno. Un ruolo non dissimile da quello di madre surrogale rappresentato dalla figura pedagogica. Ed è proprio nel rapporto tra vita professionale e vita intima che emergerà il mistero dietro cui si cela la minaccia incombente.

Girolami/Patrizi adottano espedienti tecnici che rafforzano questo senso di alterazione percettiva, come l’uso di obiettivi grandangolari nel carrello panoramico all’interno dell’angusto spazio casalingo. Un senso di inquietudine reso anche dal sottofondo spettrale dato da musiche minimali o “l’assordante silenzio” che aleggia nelle vuote stanze della casa. Uno sprofondamento nell’incubo che prende il via proprio con un risveglio e un’immersione in luoghi intimi e sinistri, in un vero e proprio processo perturbante che rimanda alla casa/mente, al sogno/veglia e alla scissione di identità del Lost Highway di David Lynch (così come l’espediente della maschera bianca dall’impassibile espressione rimanda al Mystery Man e alla sua essenza astratta e straniante).

Ma alla fine, come in una spirale di vendette e omicidi senza fine, di una colpa ancor più terribile si farà carico l’assassino. La scena si ripete, dando forse inizio ad una nuova vendetta, una catena senza fine, come il riflesso di un pensiero ossessivo nel labirinto della mente.

Un film che non plagia ma risemantizza quindi, guardando ai capolavori lynchiani, così come al Rosemary’s Baby di Polanski e al suddetto, fortunato, sottogenere horror. Un’opera originale e coraggiosa nell’attuale panorama italiano, che la Gabriele Albanesi produzioni sembra voler riportare ai fasti di un tempo.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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