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Talk To Me di Danny e Michael Philippou: recensione

Talk To me, l'horror dei fratelli Philippou, noti YouTuber australiani, arriva nelle sale italiane il prossimo 28 ottobre. Cinema fisico, dove depressione, suicidio, lutto e violenza autoinflitta, descrivono un'intera generazione. La recensione

Nell’esaltazione critica del tutto fuori misura che ha salutato come un capolavoro l’esordio nel lungometraggio di Danny e Michael Philippou, c’è la tendenza a definire un territorio specifico con i consueti riferimenti enciclopedici a supporto. L’estetica delle mani nel cinema horror, da Robert Wiene, passando per Jacques Tourneur e Polanski, dritti fino all’ultimo ventennio del ‘900 con Alfredo Zacarías, Sam Raimi e Rodman Flender è un riferimento talmente evidente nel film dei fratelli australiani da risultare stucchevole se affrontato in questi termini.
L’Objet trouvé al centro di Talk To Me è la stilizzazione di un gesto che innesca la relazione perturbante e tipica tra animato e inanimato, codificata dall’arte e dalla letteratura surrealista per dissotterrare i segreti della psiche e creare una connessione rischiosa tra il contemporaneo e un passato precedente all’elaborazione del linguaggio. Tra le foto di Man Ray e Maurice Tabard, gli scritti di Hugnet e Breton ed infine i sabotaggi di Buñuel nella sua produzione messicana, è un pullulare di mani.

Quella dei Philippou, protesa in avanti a quarantacinque gradi rispetto ad un pezzo d’avambraccio, nell’economia del racconto sostituisce una qualsiasi tavola Ouija trovata nella soffitta di un rigattiere; un brutto soprammobile infestato da decalcomanie testuali, la cui funzione è fare da ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Una relazione che si rivelerà del tutto asimmetrica e che consente ai due giovani registi di giocare con gli stereotipi del genere, per aggiungere qualcosa in più rispetto alla tradizione del racconto ammonitore giunta fino a noi, anche attraverso una pletora di film horror ritagliati sulle pulsioni degli adolescenti.

Oggetti, protesi, prostetica. C’è indubbiamente un’azione di resistenza ai VFX nell’approccio pratico dei Philippou e la modalità con cui sono state rese più intense alcune sequenze di possessione, con le lenti opache inserite dentro l’occhio, è ben testimoniata dalle interviste concesse dalla protagonista Sophie Wilde, che ha spesso parlato di esperienza estrema.

I Philippou mettono allora in abisso il loro stesso microcinema prodotto come YouTuber negli ultimi nove anni con i video pubblicati sul canale Rackaracka, riproponendo il medesimo senso della burla, l’estrema brutalità e una relazione tattile e materiale con le necessità del gore.

In abisso perché tutto in Talk To Me viene rilanciato dalla presenza ineludibile degli smartphone, gli unici attivati per filtrare la ferocia di una realtà indicibile, sia essa una pulsione suicidale, oppure una forza ignota infilmabile. Il risultato è la cornice “comedy” definita dagli schermi digitali, attraverso i quali tutto diventa grottesco, iperreale, bizzarro.

Prendersi gioco della morte, abbassando sempre di più la soglia tra registrabile e invisibile fa saltare in aria parametri e distanze. Il contatto con un oggetto inanimato, passaggio per anime in pena, consente di vedere la propria fine oppure l’immagine di un dolore profondo.

Ed è proprio questo, quando non elaborato, che può rimodellare la realtà, lacerando la membrana della bolla digitale.

Senza una volontà teorica così marcata, i Philippou propendono per un cinema fisico, dove depressione, suicidio, lutto e violenza autoinflitta, descrivono un’intera generazione al di fuori dei confini connettivi.

Più del gioco degli ingressi e delle uscite dimensionali, desunto dalla lezione di Wes Craven, è ciò che rimane nel mezzo a rappresentare il punto di forza di Talk To Me.

La soglia occupata dal canguro agonizzante, trovato sulla strada durante una percorrenza notturna da Mia e Riley concentra tutto il contrasto tra l’outback invisibile e la presenza della civiltà.
La rielaborazione di questa dinamica, connaturata a molto cinema Australiano, viene applicata dai fratelli in termini psichici e relazionali.

Lo spazio domestico è ricco di insidie e il buio della mente circonda i contorni della protezione famigliare. La morte, per chi rimane, da una parte o dall’altra, è una terribile esperienza palindroma senza alcuna soluzione.

Talk To Me di Danny e Michael Philippou (Australia 2022 – 94 min)
Sceneggiatura: Bill Hinzman, Daley Pearson, Danny Philippou
Interpreti: Sophie Wilde, Miranda Otto, Joe Bird, Alexandra Jensen, Otis Dhanji, Marcus Johnson, Alexandria Steffensen, Zoe Terakes, Chris Alosio
Fotografia: Aaron McLisky
Montaggio: Geoff Lamb
Musiche: Cornel Wilczek

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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