Eric Falardeau si è laureato in “film studies” presso l’università di Montreal, con una tesi sui fluidi corporei nel cinema porno e gore, una ricerca, come ha avuto modo di raccontare in alcune interviste, che ha ispirato la scrittura di Thanatomorphose, concepito lungo un ampio percorso di gestazione, mentre concludeva i suoi studi e girava una serie di cortometraggi, diffusi attraverso numerosi festival internazionali. Alcuni di questi anticipano in forma sperimentale temi e ossessioni che costituiranno l’ossatura del primo lungometraggio; Le petite mort per esempio, introdotto dalla frase promozionale “Une femme. Un homme. Une lame. La mort est-elle orgasmique?” simula l’amplesso tra un uomo e una donna sostituendo alla penetrazione, una serie di coltellate al basso ventre; relazione tra morte e sessualità che non subirà un trattamento così semplificato nel racconto di abiezione che anima Thanatomorphose.
Kayden Rose è Laura, un’artista contemporanea in crisi, la sua vita sembra chiusa tra le mura dell’appartamento dove vive e mantiene una relazione con Antoine basata quasi esclusivamente sul sesso; Falardeau introduce questo aspetto un attimo prima dei titoli di testa, filmando un amplesso in dettaglio e con ossessività porno, servendosi di alcune immagini dalla qualità termografica e di una colonna sonora tra electro-house e le frequenze disturbanti di un rumore bianco; un segmento che tornerà un paio di volte e che contrasta con l’introduzione del primo dei tre capitoli in cui è suddiviso il film, intitolato “Despair“, commentato dalla musica per violini della “Guild of Funerary Violinists“, ensamble di ricerca che recupera suoni e composizioni nati intorno ai Violinisti Funerari a partire dalla fine del 1600; una scelta certamente non casuale che divide in capitoli la discesa agli inferi di Laura con dei veri e propri interludi meditativi sul senso della morte; i Violinisti Funerari, nati principalmente in seno alla cultura protestante, sostituivano le funzioni di intercessione con la dimensione extrasensibile, ricercando un suono rituale che potesse riempire il senso di vuoto spirituale che invade l’animo umano di fronte alla morte. La struttura tripartita del film (“despair” , “another” , “oneself” ) è infatti direttamente ispirata a “Sygdommen til Døden” di Søren Kierkegaard; “La Malattia per la morte” non è semplicemente la dissoluzione biologica, ma la distruzione della vita e dello spirito, per Kierkegaard la malattia per la morte è la disperazione.
Laura Lavora ad una strana scultura, una testa fatta di resine e materiale probabilmente organico, è una creatura che protegge con una serie di bende e che rappresenta in qualche modo il suo impasse creativo; durante una festa tra amici icontra Julian, un ragazzo con una sensibilità diversa da quella di Antoine, con lui, sempre nel teatro del suo piccolo appartamento, c’è un fugace scambio affettivo. Ma ciò che spinge verso il basso l’esistenza di Laura è qualcosa di inesorabile; quasi fosse quello di Marina De Van in Dans ma peau, il suo corpo comincia a copririsi di ecchimosi, escoriazioni, lividi sempre più visibili, e la carne comincia a marcire dall’interno. Eric Falardeau avvicina spesso il processo di decomposizione all’orgasmo, tanto che la fragilità dei tessuti di Laura, spesso è associata ai momenti di masturbazione, moltissimi durante il film, e legati ad una necessità che supera e va oltre il declino biologico.
Quando Julian tornerà a casa di Laura, troverà un corpo ricoperto da larve e da mosche, il cui ronzio viene trasformato in una presenza disturbante e tridimensionale dal sound design di Paul Hébert, attento ad accompagnare tutte le mutazioni con un vero e proprio suono della putrescenza; il rifiuto di Julian verrà ostacolato da Laura con una fellatio, una performance che a Falardeau interessa dal punto di vista dei fluidi, quelli della donna-cadavere e lo sperma che successivamente vomiterà, come tutti i liquidi e i solidi alimentari che il suo corpo non riesce più ad assimilare; quella forma di nutrimento reciproco che è il sesso orale, viene sovvertita da Falardeau in un’immagine mortifera e quindi per niente ipocrita della pornografia, “piccola morte” il cui livello estremo di rappresentabilità oltre il rappresentabile, diventa la “malattia per la morte” dell’immagine contemporanea.
Con il lavoro massivo sulla prostetica curato da David Scherer e Rémy Couture, Falardeau si avvicina in parte al gore degli ottanta e in particolare al cinema di Jörg Buttgereit, dal quale riprende alcune tecniche di mutazione “a vista” derivate dal cinema d’animazione e anche la relazione stretta tra pornografia e morte.
Ma rispetto all’humor del regista Berlinese, Falardeau seglie una via più disperata, interessato com’è alla trasformazione tanatologica; Thanatomorphose è un film estremo sul concetto di mutazione e non contiene nessuna distrazione dello sguardo se non quella che possa riferirsi alla percezione di un organismo vivo che si decompone lentamente dall’interno; quando Laura comincerà a perdere le unghie, a contemplare lo sfaldamento delle dita, a defecare materiale organico, ad esplorare la materia cerebrale con un dito, mentre le ossa craniche si sono appena spaccate, cercherà di adattarsi a questo nuovo stato, fotografando il processo e catalogandolo, rafforzando gli arti con alcune bende, smontando la sua opera d’arte fatta di resina per innestarne alcuni pezzi nel suo corpo (per esempio, delle unghie artificiali), quasi a suggerire una relazione diretta tra il suo corpo e quel pezzo d’arte di cui ha curato la creazione, in uno scambio molto meno romantico e più strettamente funzionale rispetto al transfert che Nacho Cerdà filma nel suo Genesis.
Thanatomorphose è un film disturbante ed ossessivo, anche nel suo recupero “archeologico” di un cinema che si faceva più di vent’anni fa, perchè riduce le funzioni dell’occhio all’osservazione vitrea e impotente di un processo inesorabilmente organico; gli unici appigli esistenzialisti, li si possono scorgere nel riverbero di questa mutazione sull’architettura dell’appartamento, con quelle crepe sul soffitto che sembrano vagine marcite o come avevamo accennato, attraverso l’utilizzo della musica dei Violinisti Funerari che accompagna l’isolazionismo estremo di Laura; leggeri accenni simbolici di un trattato sulla disperazione, che saranno presto annientati dal grido terribile e grottesco di uno scheletro in frantumi.