domenica, Dicembre 22, 2024

The Dark and the Wicked di Bryan Bertino: recensione

The Dark and The Wicked, il nuovo film di Bryan Bertino ambientato nel Texas Rurale, dove un fratello e una sorella tornano nella fattoria di famiglia per assistere il padre morente. Da quel corpo promana un abisso che travolgerà tutto il nucleo. Visto al Torino Film Festival 2020

The Dark and The Wicked è il film di Bryan Bertino ambientato nel Texas rurale. Michael e Louise tornano nella fattoria di famiglia per assistere il padre morente. Trovano la madre in stato confusionale e impegnata a difendersi da un male invisibile che sembra promanare dallo stato vegetativo del marito. L’abisso è ad un passo dal travolgere e distruggere l’intero nucleo

The Dark and The Wicked, la recensione del film di Bryan Bertino visto al Torino Film Festival 2020

Uno dei guasti peggiori della società occidentale è racchiuso nell’eufemizzazione della morte. La rimozione simbolica degli eventi luttuosi passa attraverso la soppressione dei segni visibili sul corpo dei malati. Una questione molto vicina al momento storico che stiamo vivendo, dove il contatto con i degenti di un ospedale, qualsiasi sia la loro patologia, è regolato dall’emergenza epidemiologica in corso. Una barriera eretta davanti a qualsiasi possibilità percettiva, che ci preserva dal toccare, annusare, assaggiare ed infine condividere lo spazio della sofferenza.
Non è un processo nuovo e trova certamente compimento sociale, politico e semiotico in un momento perfetto per riorganizzare le relazioni secondo alcuni principi di distanza, dissimulazione e controllo.

Bryan Bertino non è il primo a servirsi dei codici del cinema horror per avvicinarsi ad un’idea, personalissima, di fine vita. L’osservazione del declino era al centro di Relic, il notevole debutto di Natalie Erika James e interessava l’occhio e il corpo in una relazione strettissima tra deperimento della memoria e disgregazione della casa-set.

La casa di famiglia, al centro del cinema di Bertino, torna anche in The Dark and the Wicked, spazio dove si consuma la rete di relazioni come “nuova” anatomia di un genere che ha progressivamente sostituito i luoghi infestati con le intermittenze dell’inconscio.

Se per Margaret Atwood il ricorso alla fenomenologia del mito è operazione di riscrittura di una “notizia sempre nuova”, ci vengono in mente i primi versi di una poesia di Emily Dickinson:

One need not be a Chamber—to be Haunted—
One need not be a House—
The Brain has Corridors—surpassing
Material Place

Il fantasma che rimane invisibile nei corridoi della mente si manifesta con il ritorno di Michael e Louise nella fattoria di famiglia. Davanti a loro il padre morente senza più coscienza percepibile e il dolore della madre, sospesa tra quest’aura di morte che pervade gli ambienti e una serie di reliquie apotropaiche vicine all’essenza cultuale del Texas rurale. Senza alcuna fede di riferimento, quei simboli le servono per arrestare la minaccia del male, la stessa ondata di sofferenza che travolgerà tutto il nucleo.

Non è difficile intuire quale sia il territorio che interessa a Bertino, nel disinnescare le aspettative e i segni del cinema horror come strumenti del discorso dal potenziale combinatorio.
L’inferno che tutto travolge e che mente spudoratamente sull’origine delle immagini, rovescia continuamente il senso letterale di quello che vediamo in un riflesso che è esca per qualcos’altro.

Viene allora sviluppata un’anti-metafisica che osserva la morte, il fine vita e la disgregazione dell’apparato patriarcale, come conseguenza di un male di vivere che nella morte trova completamento.

La decadenza, la fine dell’io cosciente, il dolore e tutta la sofferenza legata alla perdita dei riferimenti identitari, vengono manifestati attraverso un tornado di eventi, la cui apparenza è sovrannaturale solo per convenzione.

Una libertà estrema nello sviluppo della logica narrativa che si estende alla definizione di un metodo.

Ed è questa la debolezza del film di Bertino, perché mentre cerca di avvicinarsi alla qualità ritualistica del cinema di Ari Aster, perde progressivamente intensità nell’evidenziare un processo decostruttivo nel suo farsi e ripetendo lo schema ad libitum.

In questo senso The Dark and The Wicked è tutt’altro che un film disturbante, casomai irritante nel suo procedere verso una percezione corporea della morte, come propulsione negativa e annichilente della mente, scegliendo la ripetizione di un topos come perno centrale intono a cui ruota l’intero film.

E a poco servono le stars and stripes che si agitano al vento, per assegnare un’improvvisa quanto superficiale qualità politica a questo abisso famigliare.

Tutto è evidente nel film di Bertino, persino l’ambiguità della visione, qualità che andrebbe sempre preservata, procede verso un vicolo cieco e non apre al possibile.
Se il giogo o la rimozione della morte entra da due diverse prospettive nella tragedia rurale di Bertino, al di là di una messa in scena abilissima e della forza, per lo più statica, di alcune visioni, il rischio è quello di riproporre il percorso di un cinema convenzionalmente “d’autore”, alla ricerca di un sistematico processo sottrattivo, che ricollochi la funzione ludica del jumpscare. Quest’ultimi sono per esempio evidenti e caricati di segno opposto rispetto alla loro origine, ma non scavano oltre la superficie generica di un lavoro che grida a gran voce la propria diversità, sgonfiandosi totalmente poco dopo la visione, senza riuscire a sfiorarci né ad ucciderci.

The Dark and the Wicked di Bryan Bertino – Usa 2020- 95 min
Interpreti: Marin Ireland, Michael Abbott Jr., Xander Berkeley, Lynn Andrews, Julie Oliver-Touchstone, Tom Nowicki, Ella Ballentine, Mel Cowan, Mindy Raymond, Chris Doubek
Sceneggiatura: Bryan Bertino
Montaggio: William Boodell, Zachary Weintraub
Fotografia: Tristan Nyby
Musica: Tom Schraeder

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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