sabato, Dicembre 21, 2024

The Eternal Daughter di Joanna Hogg: recensione

The Eternal Daughter è un piccolo saggio intimo sull'immagine virtuale, sospesa tra ciò che è vivo e quello che è morto. Tilda Swinton interpreta figlia e madre nel nuovo film di Joanna Hogg

Johanna Hogg riprende i fili del suo cinema autofinzionale e prosegue il discorso introdotto con i due capitoli di The Souvenir, spostando avanti nel tempo la storia di Julie, il personaggio di una regista che rappresenta in forma obliqua il suo alter-ego. L’occasione drammaturgica è un viaggio della donna insieme alla madre, verso le stanze di un grande hotel situato in mezzo ad un paesaggio gallese immerso nella nebbia. Entrambe le figure femminili sono interpretate da Tilda Swinton, che assegna a questo rispecchiamento in abisso una qualità perturbante ricercata in modo specifico.

L’atmosfera è quella del gotico britannico e di alcune produzioni Hemdale degli anni settanta, tanto che le connessioni con Voices, il film di Kevin Billington tratto da una piece di Richard Lortz, sono molto nette ed esplicite, soprattutto nello scambio soggettivo e palindromo tra cosa sognata e sognatore.

L’Andante Tranquillo tratto dalla Musica per archi, percussioni e celesta, imposta sin dall’inizio l’ingresso in questo luogo della memoria, quasi per descrivere la stessa aberrazione temporale che materializzava gli ospiti dell’Overlook Hotel, nelle cui stanze risuonava la medesima composizione di Béla Bartók.

Ma il confronto tra madre e figlia, animato da un progressivo scavo interiore che possa far emergere sentimenti inconfessati, ha una qualità ibseniana molto forte, che Hogg ricostruisce con uno sguardo unificante attraverso il rigore simmetrico e speculare del campo-controcampo, per rivelarne la natura illusoria e fantasmatica.

In questo luogo popolato da spettri e residui della memoria, Hogg sfrutta tutti gli elementi del cinema di genere, per isolarne le qualità aurali e visuali entro una dimensione astratta.

Rumori recursivi, i suoni della natura che alimentano strani presagi, il motivo Bartokiano limitato a pochissime frasi iniziali, le stanze dell’hotel completamente vuote, dove la presenza di una receptionist e di un guardiano sembrano alludere alla qualità evanescente di quei luoghi, non nascondono nient’altro se non la persistenza della morte nello spazio della vita.

Non sono voci dall’aldilà quelle a cui è interessata la regista britannica, ma l’ipotesi che l’energia mnestica impregni i luoghi di coesistenze capaci di relativizzare la collocazione di un luogo nel tempo.

Per Julie, l’hotel è il segno di una dedizione amorevole nei confronti della madre Rosalind, mentre per questa è una sovrapposizione di ricordi felici e momenti di grande infelicità. Ciò che Julie sembra sentire come un’eccedenza minacciosa, ma intangibile, non è altro che l’accumulo di memorie vissute e per lei impossibili da codificare.

Ecco che The Eternal Daughter, diventa terrificante quando la sostanza di eventi insignificanti si incunea nel tempo interstiziale dell’attesa.

Il decesso della madre di Hogg, avvenuto durante la lavorazione del film, infonde una qualità confessionale alla performance di Tilda Swinton, il cui dolore si riflette in ogni segno, anche nella scelta delle letture. In camera, prima di addormentarsi, chiude una copia di “Loro”, breve racconto di fantasmi scritto da Kipling, dove i revenants sono bambini che riflettono il tragico destino di Josephine, la figlia dello scrittore inglese, morta nel 1899.

Mentre la prostetica di Rosalind invecchia vistosamente nel corso del film, si avvicina un confronto aspro con Julie, tutto concentrato sul tentativo di trattenere l’ineluttabilità della morte, davanti ad un corpo sofferente che preme da un mondo sospeso tra essere e non essere.

Il doppio della Swinton, come un cadavere, è immagine riflessa. Occupa uno spazio inquietante doppiando chi vive, ma incorporando nella somiglianza una perturbante differenza. La vita di Julie è in qualche modo erosa dall’immagine di Rosalind che eccede il suo stesso tentativo di fissarne una versione soggettiva, senza che possa essere il calco della madre vivente.

In questo confronto con la morte è inclusa la prassi stessa della scrittura, che Julie mette in opera registrando le conversazioni con la madre, come traccia della distanza incolmabile tra vita e negazione della stessa. La produzione di immagini allora è creazione di fantasmi, una spettralità senza referente che può annichilirci nel riconoscimento delle differenze.

Il filtro dell’intervista celata è un atto di virtualizzazione della madre, rimessa in scena attraverso più dispositivi: quello attoriale, con lo sdoppiamento di Tilda Swinton, quello di Julie, personaggio che mette in scena il suo stesso universo intimo, ed infine il lavoro di Joanna Hogg, contenitore di matrioske.

Se le scelte formali sembrano quelle di un film apparentemente fuori tempo, The Eternal Daughter è un piccolo saggio intimo sull’immagine virtuale, sospesa tra ciò che è vivo e quello che è morto. L’immagine spettrale che lo fonda mina alle basi ogni distinzione tra il virtuale e l’attuale.

The Eternal Daughter (GB-USA 2022, 96 min)
Interpreti: Tilda Swinton, Joseph Mydell, Carly-Sophia Davies, Alfie Sankey-Green, Zinnia Davies-Cooke, August Joshi
Produzione: Martin Scorsese
Fotografia: Ed Rutherford
Montaggio: Helle le Fevre

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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